mercoledì 18 dicembre 2013

Edoardo Fanucci e la Web Tax (o Spot Tax) che riguarda anche noi blogger (però sa fare il nodo Windsor alla perfezione!)



Questo baldo giovine, trentenne, bocconiano, commercialista nonché onorevole della Camera dei Deputati per il partito democratico, ha alcuni pregi e un enorme catastrofico difetto.
Partiamo dai pregi: ha una faccia simpatica, è sicuramente ben preparato e, cosa più importante a mio giudizio, sa fare perfettamente il nodo Windsor doppio alla cravatta (tie doubleWindsor knot).



Naturalmente appartiene alla corrente di Matteo Renzi, l'Homo Novus, il Profeta, il Messia, l'Uomo della Provvidenza.



Questo simpatico e solerte giovane deputato si è dato da fare. Non è di quelli che scaldano la sedia o che dormono in aula. No, appartiene a quella minoranza di deputati che sono molto attivi, anche se purtroppo gli esiti della loro attività finisco per provocare danni.
Ma quale danno potrà mai aver fatto il nostro brillante Fanucci?



In quanto membro della Commissione parlamentare Bilancio, ha presentato l'emendamento alla Legge di stabilità del Governo Letta, "Destinazione Italia", il quale "fa scattare l’obbligo di apertura di un partita iva sia per i servizi di e-commerce sia per l’acquisto di link sponsorizzati, di banner. Questo significa che l’advertising può essere venduto soltanto da imprese con regolare partita iva. Il meccanismo è pensato per evitare o comunque arginare il fenomeno dell’acquisto di pubblicità estero-su-estero, che elude il fisco italiano. In pratica, riguarda il business delle transazioni tra imprese."



La cosa riguarda anche molti di noi blogger, in maniera indiretta, nel senso che non siamo noi gli inserzionisti dei banner, però i nostri inserzionisti, forse, dico forse perché poi l'emendamento Fanucci è stato modificato dal presidente di commissione, l'on. Boccia, sempre del PD, dovranno pagare una tassa che tra le altre cose rischia di non essere compatibile con le norme per la libera concorrenza in vigore nell'Unione Europea, il che ci espone ad una procedura di infrazione.



Cito quanto scritto da alcuni colleghi blogger:

"Fanucci del pd è il padre dell'emendamento "web tax" fatto passare col solito colpo di mano in Commissione Bilancio alla Camera. Con Governo (giustamente) ed M5S contrari. La "web tax" produrrà svantaggi e nessun benefico per l’economia italiana, le imprese, i consumatori e finanche le casse dell’erario. I promotori dell’iniziativa si appellano al principio secondo il quale è giusto che per i servizi venduti in Italia, le tasse siano pagate in Italia. Mettiamola così: facciamo che sono un produttore di vino che esporta il bene in un'altro paese comunitario. Secondo voi dovrei pagare le tasse in Italia o nel Paese dove vendo? Beni e servizi digitali non possono essere trattati diversamente dal vino. Chiunque dotato di buonsenso, risponderebbe che è corretto pagare le tasse del bene/servizio nel paese dove lo produco. Perchè? Perchè se vendo il vino in 10 paesi differenti, secondo il pd devo pagare le tasse in 10 paesi differenti. La necessità secondo Fanucci di legare i contenuti digitali e pubblicitari che girano sul web alle aziende che hanno partita IVA in Italia, produrrebbe come effetto la marginalizzazione dell'Italia dall'economia digitale. Perchè Google dovrebbe far girare il suo motore di ricerca in Italia se questo significa per loro pagare più tasse? Semplicemente deciderà di non investire in Italia." Terzo Nick



Fanucci è simpatico ed elegante ed ha una faccia da bravo ragazzo, vagamente somigliante a Beppe Grillo da giovane, no dai scherzo, anche perché questa storia della web tax ha fatto molto arrabbiare il vecchio Beppe, che è il re dei blogger e infatti oggi sul suo blog troviamo scritto quanto segue:

"Nessuna web tax, si ad una piccola e brutta spot-tax. Si è chiusa così, nella notte, in Commissione Bilancio, la partita che ormai da settimane tiene banco, tra addetti ai lavori e non, e della quale, nell’ultimo weekend, si erano occupati anche il neo-eletto Segretario del Partito Democratico, Matteo Renzi e Carlo de Benedetti, Patron del Gruppo L’Espresso, contrario il primo e favorevole il secondo. La Commissione parlamentare, infatti, ha approvato solo il secondo comma della proposta di legge – poi trasformatasi in un emendamento alla Legge di stabilità – presentata da Francesco Boccia (Pd). Niente obbligo generalizzato, dunque, di acquisto online di servizi solo da fornitori dotati di partita Iva italiana ma si a tale obbligo quando si tratterà di comprare “spazi pubblicitari online” e “link sponsorizzati…visualizzabili sul territorio italiano durante la visita di un sito o la fruizione di un servizio online attraverso rete fissa o rete e dispositivi mobili”. La web tax, in sostanza, esce ridimensionata e ribattezzata dal dibattito parlamentare ed extra parlamentare degli ultimi giorni. Qualcuno, nelle prossime ore, gioirà del risultato e qualcun altro se ne rammaricherà ma la realtà è che non ha vinto nessuno ed abbiamo perso tutti. La legge che l’Assemblea di Montecitorio si avvia ora ad approvare è una brutta legge, anti-europea, di dubbia legittimità costituzionale, sostanzialmente inapplicabile ed anacronistica. Tanto per cominciare, infatti, è evidente che la tagliola che si è abbattuta sul testo scritto e pensato dall’On. Boccia non ne ha modificato l’impianto sostanziale ma solo ridimensionato l’ambito di applicazione con l’ovvia conseguenza che tutte le perplessità ed i dubbi sollevati da più parti circa l’incompatibilità di un’iniziativa tricolore su una materia di evidente interesse comunitario restano valide così come inalterati rimangono i dubbi sollevati dallo stesso Ministero dell’Economia circa la legittimità della norma rispetto alla libertà di impresa costituzionalmente garantita. Il Parlamento, quindi, si avvia a pronunciare il si definitivo su una legge che potrebbe costare al Paese l’apertura di una procedura di infrazione comunitaria con condanna al pagamento della relativa sanzione ed essere poi dichiarata costituzionalmente illegittima. Difficile, in questo contesto, condividere l’urgenza con la quale si è ostinatamente voluto approvare un brandello dell’originaria web tax. Tale difficoltà è resa ancor più tangibile se si pone mente al fatto che – a prescindere da ogni altra considerazione – il ridimensionamento dell’ambito di applicazione della norma ai soli servizi promozionali, riduce significativamente i benefici per l’Erario. Senza voler entrare nella guerra dei numeri che ha, sin qui, diviso favorevoli e contrari al varo della web tax, infatti, è ovvio che se prima il maggior gettito sperato dalla tassazione tricolore di tutti i servizi venduti via web in Italia era modesto, ora diviene davvero marginale. C’è, quindi, da chiedersi se sia valsa davvero la pena assumere un’iniziativa marcatamente anti-europea e di dubbia legittimità costituzionale per portare a casa, forse, una manciata di euro in più. Ma la più importante ragione per la quale quella che il Parlamento si avvia a varare con il voto in aula sarà ricordata come una delle peggiori leggi sul web è un’altra. La legge, infatti, è interamente costruita su un’idea di web che non esiste se non nella fantasia della mano che ha scritto il disegno di legge: un web nel quale vi sarebbero contenuti accessibili dall’Italia e contenuti inaccessibili dal nostro Paese e si potrebbe assoggettare la circolazione dei primi ad un regime fiscale diverso da quella dei secondi. Qualcosa del genere – e per ragioni egualmente poco nobili ma, almeno, più rilevanti in quelle subculture politiche –lo hanno, sin qui pensato solo regimi autoritari come quello cinese, spingendosi ad ergere una “grande muraglia digitale” nel fallito tentativo di impedire ai propri cittadini l’accesso a contenuti provenienti dall’estero. Difficile immaginare come i supporter della nuova spot tax pensino di implementare il rispetto della loro creatura. Quando un imprenditore italiano comprerà spazi pubblicitari o link sponsorizzati, infatti, dovrà chiedere l’emissione di una fattura con partita Iva italiana per quei contenuti che saranno poi effettivamente “cliccati” dal nostro Paese e fattura senza partita Iva – come avviene oggi – quando i contenuti in questione saranno “cliccati” da un consumatore francese, tedesco o inglese al quale abbia legittimamente scelto di far arrivare il proprio messaggio promozionale. E’ ovvio, infatti, che per lo stesso principio alla base della spot tax, se un imprenditore italiano vuole far arrivare il suo messaggio in altri Paesi europei, il servizio non potrà essere tassato in Italia. Tempi duri per i pochi grandi nomi dell’industria italiana: auto, prodotti alimentari, turismo e moda. Da domani comprare pubblicità online diventerà maledettamente più complicato. Ci siamo rinchiusi – con le nostre mani – in un guscio nazionale in un sistema sempre più globale." dal blog di Guido Scorza





Allora cosa facciamo, dobbiamo biasimare l'on. Fanucci per questo pasticcio della web-tax o spot-tax che dir si voglia o lo assolviamo perché ci ispira simpatia, sa scegliersi bene le cravatte e sa fare il nodo Windsor alla perfezione?
In dubio pro reo. Lo assolviamo! Però, mi raccomando, onorevole: la prossima volta, prima di inventarsi una tassa, ci pensi bene... non siamo in uno sperduto consiglio comunale, siamo nel parlamento di un paese schiacciato dalle tasse... quindi attenzione e prudenza!





Quanto conta l'estetica in amore?

Vi è mai capitato di innamorarvi di una persona fisicamente non bella, ma che voi consideravate attraente per la sua personalità? A me sì, ed è stata una grande passione, ed io ancora rimpiango quella ragazza, con cui ho vissuto momenti bellissimi. Purtroppo la storia è finita per altre ragioni che non c'entravano nulla con l'estetica.
Eppure la domanda su quanto conti l'estetica salta fuori regolarmente, per esempio oggi, dopo aver letto l’indagine che Meetic ha fatto in tutta europa per cercare di capire quali siano i criteri più importanti per i single quando devono scegliere se uscire con una nuova persona. 

Beh, in Italia sapete quale è il criterio numero uno? Il look. Si, look e stile sono risultati essere il requisito fondamentale. E non per una nicchia di fashion victim ma per il  96% degli intervistati. Va bene che in Italia amiamo ripetere che siamo tutti degli esteti e che siamo abituati alla bellezza, fosse anche solo quella dei paesaggi.
Ma veramente l’abbigliamento è diventato così determinante quando si tratta di trovare qualcuno attraente o meno?
Pare di sì e pare che la logica del “sarebbe anche carino ma non vedi come si veste?” non attanagli solo gli under 20 ma anche chi ha un bel po’ di anni di più.
Inutile provare a darci un tono: secondo questa indagine chi dimostra di avere una cura nel suo look, uno stile ricercato, diventa immediatamente più attraente rispetto agli altri. Ma quanto e fino a che punto conta il look in amore? C’è davvero in Italia chi magari non si innamorerà mai della persona giusta per lui (o lei) solo perché anziché vestirsi ogni mattina sembra tuffarsi alla cieca nell’armadio?
Un maglione di lana démodé e magari trafitto da una mitragliata di “pallini” o l’ormai mitica figura del “calzino bianco” pesano di più nel rendere ai nostri occhi qualcuno attraente o meno rispetto a un modo di fare brillante o a dei ragionamenti interessanti? 
Chi sottovaluta lo slim fit ma ha letto qualche libro è percentualmente molto meno interessante per i single italiani rispetto a chi dimostra di avere cura nel vestire?
Sì, la risposta impietosa è sì. E si dirà che è normale, che le regole dell’attrazione si basano su elementi semplici, specie all’inizio, come l’immagine. Ma perché all’estero non è sempre così? In Francia, Germania e Svezia, ad esempio, il primo criterio è il senso dell’umorismo.
La nostra percezione di qualcuno possa cambiare in base a come si veste. Perché? Perché attribuiamo altri significati alla scelta dei vestiti giusti? Perché chi si veste con stile (e può essere anche lo stile del finto trasandato, codice dei radical-chic che, come si sa, hanno sempre un discreto pubblico) dimostra di avere una certa personalità e un buon gusto che auspicabilmente si ritrova anche in altri ambiti? O solo per un semplice ma crudele criterio estetico che ci impedirebbe di riconoscere perfino l’uomo dei vostri sogni se si presentasse come Francesco Guccini al suo matrimonio.
E non vale solo per le donne. Hanno dato la stessa risposta nell’indagine anche gli uomini (solo un punto percentuale in meno).  Si pensa che per loro fosse ancora più un dettaglio, che “nemmeno si accorgessero” di come sono vestite le donne. Pare non sia così. 
Anche se per le donne vale la scusante: “Se sei carina un uomo in genere ti vede così anche se ti vesti male. Se poi ti vesti bene allora sì, ti vede ancora più carina”.
Nella sua leggerezza, ci sono diversi spunti interessanti. Apriamo il dibattito? Quanto vi condiziona il look nella scelta della persona da frequentare? E, a questo punto, ci sono anche degli “stili” che trovate irresistibili? 
Ma c'è un lato positivo in tutto questo: come diceva Wallis Simpson, se non si è belli si può comunque cercare di essere i più eleganti!

Albero genealogico dei Grimaldi e Casiraghi: famiglia reale di Monaco

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Andrea Casiraghi Grimaldi si è sposato con l'ereditiera colombiana Tatiana Santo Domingo da cui ha avuto due figli, Alexandre (detto Sacha, nato nel 2013) e India (nata nel 2015),
Charlotte Casiraghi Grimaldi ha avuto un figlio, Raphaël, nato il 17 dicembre 2013, dalla relazione con l'attore Gad Elmaleh; la coppia si è successivamente separata.
Pierre Casiraghi ha sposato la nobile Beatrice Borromeo Arese Taverna, discendente dalle famiglie aristocratiche dei Borromeo e dei Marzotto, per parte di madre.


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Carolina di Monaco, il padre Principe Ranieri di Monaco, la madre Grace Kelly, l'attuale Principe Alberto di Monaco e la Principessa Stephanie.



Alla sinistra vediamo Stefano Casiraghi, secondo marito di Carolina di Monaco, dal quale ha avuto i figli Andrea, Pierre e Charlotte. Stefano Casiraghi morì tragicamente il 3 ottobre 1990 a seguito di un incidente avvenuto nel corso dei campionati del mondo offshore a Montecarlo, mentre si trovava al largo di Saint-Jean-Cap-Ferrat, pilotando il catamarano Pinot di Pinot in squadra con Franco Statua.
Carolina era già stata sposata in prime nozze con Philippe Junot (matrimonio poi annullato) e si è risposata in terze nozze con il Principe Ernst August di Hannover, da cui ha avuto la quartogenita Alexandra.

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Le generazioni precedenti erano
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Grimaldi sono un'antica famiglia di origine genovese che regna sul principato di Monaco dal XV secolo fino all'attuale sovrano Alberto II.
È stata una delle cinque più importanti casate della nobiltà feudale della repubblica di Genova, assieme ai Doria, agli Spinola, ai Fieschi e agli Imperiale. Si arricchì con la mercatura, la finanza, e l'acquisto di terre. Si divise in vari rami con titoli principeschiducali e marchionali, tra i quali quelli di Gerace, di SalernoCampagnaEboliAntibesCastronovo e altri, prevalentemente in ItaliaFrancia e Spagna[1]. Molte stirpi genovesi assunsero il cognome Grimaldi tramite l'istituto dell'Albergo dei Nobili. Fra le illustri progenie, citiamo ad esempio gli Oliva e i Durazzo.

Le origini

Diverse sono le ipotesi sull'origine antica della casata. C'è chi afferma che il capostipite sia Grimoaldo II[1][2], altri come Francesco Maria Emanuele Gaetani marchese di Villabiancaaffermano addirittura che l'origine sia più antica[3]. Tuttavia, il primo di cui si hanno notizie storiche certe, ed è quindi considerato come capostipite, fu il console Ottone Canella[4], padre di Grimaldo Canella, un uomo di Stato genovese vissuto all'epoca delle prime Crociate. Fu console della Comune di Genova negli anni 1162, 1170, e 1184. Ottone risulta fra i testi di un atto sottoscritto dai componenti del casato nel quale si riscontra il "nomen gentis" Grimaldo (nome ricorrente a cominciare dal figlio) e ad ogni modo apparteneva alla nobiltà feudale che, nel corso del secolo XI, iniziò ad abitare nelle mura della città entrando a far parte della nobiltà "consolare".

L'antica casata genovese

La casata, dopo le prime gesta del Console Grimaldo, ebbe nel figlio Oberto (I) Grimaldi (1140 circa-1232) il reale fondatore delle fortune e del potere della prosapia.
Si dedicò infatti ai traffici commerciali marittimi, insieme ai figli e si occupò della vita politica genovese.
I suoi quattro figli: Grimaldo (II) (1170 circa- dopo 1257), Ingo o Ingone (+ 1235 o +1225), Oberto (II) (vivente 1233-58) e Nicola (+ ante 1258) furono dunque i capostipiti dei quattro rami fondamentali della famiglia e durante la loro epoca fecero ascendere i Grimaldi ad una delle casate più ricche e potenti di Genova.
Coinvolti nelle guerre fra guelfi e ghibellini furono spesso esiliati e poi rimpatriati, vivendo questi anni spesso come ribelli, pirati e nemici. Nel XIV secolo parteggiavano per i Guelfi.
Furono questi gli anni dei famosi Lanfranco, uomo politico genovese, Ranieri (I), rinomato uomo d'arme ed ammiraglio, di Francesco o Franceschino detto "Malizia", che assaltò e conquistò Monaco (1297).
Fra i secoli XIII-XV però la casata, divenuta una delle quattro più grandi gens genovesi (con DoriaSpinola e Fieschi), si estese anche oltre i confini della patria, generando rami spesso insigni, come la dinastia dei signori e poi principi di Monaco.
Nel 1528 costituirono il decimo Albergo dei Nobili della Repubblica di Genova.

Albero genealogico essenziale

Carta del principato di Monaco (metà dell'Ottocento)
  • Otto Canella (* dopo 1070 circa, + prima 1143)
    • Grimaldo (I) Canella (* 1110 circa, + 1184)
      • Oberto (I) "Grimaldi" (* 1140 circa, + 1232)
        • Grimaldo II (* 1170 circa,+ dopo 1257)
          • Lanfranco (detto Natta) (* 1210/15 circa,+ dopo 1293)
            • Ranieri (I) (* Nizza (?) 1272 circa, + 1314)
              • Carlo (I) detto "il Grande" (+1357/63), 1° Signore di Monaco
                • Ranieri (II) (* 1350, + 1407), 2° Signore di Monaco
                  • Ambrogio (+ 1421/33), ConSignore di Monaco (1419-27)
                  • Antonio (+1427), ConSignore di Monaco (1419-27)
                  • Giovanni (I) (* 1382, + 1454), ConSignore di Monaco (1419-54)
                    • Catalano (* Monaco 1415, + Monaco VII.1457), Signore di Monaco
                      • Claudina (* 1451, + 1515), Signora di Monaco = Lamberto (vedi sotto)
                  • Enrico, capostipite della linea siciliana
            • Bartolomeo detto "Bertone" (* XIII sec., + 1323 circa), capostipite della linea calabrese
          • Luchetto (1210 c.-1272) ammiraglio
          • Antonio (+ 1259)
            • Guglielmo (+ dopo 1302)
              • Francesco o Franceschino "Le mace (la mazza)", più conosciuto come “Il Malizia” (+ in battaglia presso Ventimiglia, 1310), Signore di Monaco, conquistata fingendosi un monaco;
        • Ingo o Ingone (+ 1235 o +1225)
          • Luca (+ 1285), uomo politico
            • Gabriele (+ dopo 1271), ammiraglio
              • Gaspare (XIII sec., + 1331), Capitano del popolo di Genova (1317)
                • Antonio (* 1300, + 1358), Ammiraglio di Genova
                  • Luca (* 1330, + 1409) Signore d'Antibes (1384)
                    • Nicola (I) (* 1370, + Marsiglia 1449/52), Signore d'Antibes
                      • Gaspare (+ dopo 1466), Signore d'Antibes (da lui discese seguente linea di Antibes)
                      • Lamberto Grimaldi di Antibes (* 1420 + 1494) Signore di Monaco = Claudina (linea dei Signori di Monaco)
          • Bovarello (m. 1285), uomo politico
        • Oberto (II) (fl. 1233-58)
        • Nicola (+ ante 1258)

Il ramo dei signori di Monaco

Il ramo dei Grimaldi ottenne Monaco di fatto già alla fine del secolo XIII, ma il vero fondatore della signoria fu Carlo I di Monaco detto "il Grande" (1357-1363) che fu il primo signore di Monaco (1341-1357), uomo d'arme e politico illustre della sua epoca.
La famiglia principesca di Ranieri IIInel 1966
Il pronipote Giovanni I di Monaco (1382-1454), signore di Monaco (1419-1454) lasciò, nel suo testamento, la famosa disposizione (si verificò tre volte!) secondo la quale in mancanza di eredi maschi il marito o il discendente di una Grimaldi doveva prendere il nome e lo stemma della famiglia per succedere al trono di Monaco, che si verificò con la nipote Claudina (* 1451, + 1515), signora di Monaco (1457-58) che abdicò dopo il matrimonio con il cugino Lamberto Grimaldi di Antibes (1420-1494).
Con Lamberto Grimaldi di Antibes (* 1420 + 1494) la signoria di Monaco diventò un principato autonomo, anche se spesso dovette destreggiarsi fra le varie potenze del tempo (Francia e Spagna in primis) e con Genova, spesso antagonista.
Fra i signori sovrani più importanti di tale epoca sono da ricordare Agostino Grimaldi [1523-1532] ed il nipote Onorato [1532-1581] che si legarono alla Spagna, anche con i Grimaldi parenti genovesi con i quali continuarono sempre ad essere in stretti rapporti. In ricompensa alla fedeltà spagnola ottennero il titolo di marchesi sulla città di Campagna, conti su Canosa (di Puglia), signori su TerlizziMonteverdeRipacandida e il castello di Garagnone, tutti in amministrazione feudale posti in varie province del vicereame di Napoli[5].
Onorato II si proclamò primo principe sovrano di Monaco nel 1612. Questo fatto segnò il passaggio politico sotto l'egìda della Francia (1642) alla quale la casata da allora si legò in modo duraturo. Tramite questo legame i Grimaldi ebbero riconosciuti importanti feudi nell'entroterra, da parte della corona francese, come il ducato di Valentinois nel Delfinato, detenuto a partire dal 1642.
Il pronipote Antonio I [1701-1731] fu l'ultimo principe sovrano di Monaco ad essere un discendente diretto in linea maschile della dinastia dei Grimaldi. Sua figlia infatti, Luisa Ippolita, unica principessa sovrana, contravvenendo ai desideri paterni ed alle regole dinastiche familiari, non sposò un cugino all'interno della casata, ma il nobile francese Jacques François-Léonor De Goyon De Matignon che divenne principe di Monaco con il nome di Giacomo I, assumendo il cognome e lo stemma dei Grimaldi e dando origine così alla seconda casata Grimaldi (De Goyon De Matignon Grimaldi), che regnò dal 1731 al 1949, estinguendosi nei Polignac Grimaldi (la terza casata), inaugurata dal principe Ranieri III.[6]
Alla morte di Ranieri III è succeduto il principe Alberto II.

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Altri rami

La gens dei Grimaldi, nel corso dei secoli, si ramificò in varie zone di Italia ed ebbe delle discendenze anche in altre zone d'Europa.
Vi sono stati rami di Sicilia con titolo di Principi di Xirumi da cui il ramo cadetto Modicano dei Baroni di Calamenzana, estinti nel XX secolo, di Spagna, di Bologna, di Carignano e di Genova. Ed anche rami come quello di Londra, chiamato il ramo dei marchesi Grimaldi di Belforte, estinto nel XIX secolo, quelli del Lazio e della Corsica, che compaiono nel XIII secolo nella Ifriqiya, quello di Boglio, che nel XVI secolo era Governatore di Nizza ed i cui membri vissero per secoli come feudatari di Casa Savoia, ed altri minori.

Ramo di Antibes

Da Ingo Grimaldi, figlio di Oberto, nel XIII secolo ebbe origine la dinastia dei Grimaldi di Antibes, un cui rappresentante, Lamberto, ottenne la signoria di Monaco sposando la parente Claudina Grimaldi.
Una linea derivata dallo stesso ramo, cui appartennero nel 1704 i conti del Poggetto, con capostipite Nicola Grimaldi, ancora gode di numerose discendenze. Altra loro diramazione si estinse nel XIX secolo negli Scati Grimaldi.

Ramo di Calabria

Questo ramo pervenne nel XIV secolo da Bertone, fratello di Ranieri. Da Bertone discesero i Grimaldi signori di Messimeri, da cui le linee di Seminara (poi riconosciuti marchesi) delle quali fecero parte Francescantonio Grimaldi (1741-1784) e Domenico Grimaldi (1734-1805). Vi fecero parte, inoltre, i Grimaldi di Crotone e quelli di Catanzaro (di cui fu valido rappresentante il ministro Bernardino).

Note

  1. ^ a b Il blasone in Sicilia pagina 211 (TXT), archive.orgURL consultato il 21 maggio 2011.
  2. ^ Girolamo Rossi, Il principato di Monaco: studi storici pagina 10, P.Amarante, 1864.
    «Egli disse i Grimaldi discendenti di Grimoaldo figlio di Pipino di Herstal».
  3. ^ Andrea Borrella, Annuario della nobiltà italiana 2000 volume I pagina 1081.
    «Il Villabianca scrive quanto segue sulla famiglia: "Ella ebbe origine nella Francia circa l'anno 420 di nostra salute da un cavaliere franzese, che chiamato Grimaldo...».
  4. ^ Treccanitreccani.itURL consultato il 21 maggio 2011.
  5. ^ M. Ulino, L'Età Barocca dei Grimaldi di Monaco nel loro Marchesato di Campagna, Giannini editore, Napoli 2008.
  6. ^ Lingua, p. 220

Bibliografia

  • Paolo Lingua, I Grimaldi di Monaco, De Ferrari, Genova 2014.
  • Angelo M.G. Scorza, Le famiglie nobili genovesi, Genova, Fratelli Frilli Editori,1924

Voci correlate