mercoledì 25 dicembre 2013

Il principe Harry con la barba e il bacio di Kate ad Elisabetta



Giungono altre foto della famiglia reale inglese in occasione della rituale messa natalizia a Sandringham.
Il principe Harry appare particolarmente brutto con la nuova barba color carota.
Cate bacia la regina, un gesto inusuale in pubblico (a dire il vero mai visto, nessuno in pubblico ha mai baciato la regina!).






Katherine Swynford, Duchessa di Lancaster e progenitrice dei Tudor.




Katherine Swynford, nata de Roet (1350 – Lincoln10 maggio 1403), era la figlia di Payne De Roet, un araldo fiammingo proveniente da Hainaut, nominato cavaliere poco prima della sua morte sul campo di battaglia.
Fu la terza moglie del principe reale inglese Giovanni di Gand, primo Duca di Lancaster.




Dall'unione di John e Katherine discese Margherita Beaufort, madre di Enrico VII Tudor, fondatore della dinastia che regnò in Inghilterra tra il 1485 e il 1603. 
Ecco l'albero genealogico dei Lancaster e dei Tudor.

Su di lei è stato scritto il romanzo "Katherine" di Anya Seton è stato ristampato ed è attualmente nelle librerie.
Questo romanzo è stato una delle fonti di ispirazione di G.R.R. Martin, autore delle Cronache del ghiaccio e del fuoco, in particolare per il romanzo "Il trono di spade" ("Game of Thrones").

Vita di Katherine Swynford

Fu educata in un convento a Romsey. Lasciò il convento quando aveva quindici anni e raggiunse la sorella Philippa, che faceva parte del seguito della regina Filippa di Hainaut, alla corte del re Enrico III d'Inghilterra. Katherine era molto bella e riuscì per questo a contrarre un matrimonio vantaggioso. Infatti attorno al 1366, all'età di sedici anni, Katherine sposò il cavaliere inglese Hugh Swynford (1340-1372), che possedeva il maniero di Kettlethorpe, nel Lincolnshire e faceva parte del seguito di Giovanni di Gand.
Katherine diede al marito almeno due figli, Thomas (1368-1432) e Blanche (nata nel 1370), ma è probabile che anche Margaret Swynford (nata nel 1369), poi entrata nel prestigioso convento noto come Barking Abbey, fosse loro figlia.
Katherine venne nominata governante delle due figlie di Giovanni di Gand (sorelle del futuro re Enrico IV) e della sua prima moglie Bianca di Lancaster.



Philippa Roet, sorella di Katherine, sposò il poeta Geoffrey Chaucer, che in occasione della morte di Bianca di Lancaster a causa della peste nel 1369 scrisse il poema Il Libro della Duchessa (The Book of the Duchess).
Poco dopo la morte di Bianca, Katherine divenne l'amante di Giovanni, che la ricompensò per le cure prestate alla moglie e alle figlie concedendole uno stemma, rosso con tre route dorate (Roet significa appunto ruota).
Nel 1371, mentre svolgeva il suo compito di soldato in Francia, morì Hugh Swynford, il marito di Katherine. Secondo le dicerie popolari fu avvelenato da Giovanni di Gand, ma tali voci non hanno alcun fondamento storico.
Nello stesso anno Giovanni si risposò con Costanza di Castiglia (figlia del re Pietro I di Castiglia).
Katherine diede a Giovanni quattro figli, e divenne nel 1373 la sua amante ufficiale. Intorno al 1381 la relazione si interruppe, e non si è a conoscenza del motivo. L'ipotesi più accreditata è che la pressione dell'opinione pubblica attorno a questa relazione adultera. Giovanni era diventando infatti l'uomo più potente del regno, essendo zio, tutore e reggente per il nuovo re Riccardo II, salito al trono ad appena 10 anni. La vita di Giovanni era sotto gli occhi di tutti.
Katherine tornò a Kettlethorpe coi quattro figli avuti da Giovanni, chiamati da tutti i Bastardi Beaufort (dal nome di un possedimento di Giovanni in Francia). Ci si può rendere conto di come fosse vista Katherine dalle parole di alcuni cronisti delle abbazie di Saint Albans e Saint Mary che la definirono "a witch and a whore" (una strega e una meretrice) e "devil and enchantress" (demonio e incantatrice).
Nel 1394 Costanza di Castiglia morì. Giovanni decise di sposare la sua ex amante. Il matrimonio avvenne il 13 gennaio 1396 nella cattedrale di Lincoln. I Beaufort furono legittimati, a condizione che nessuno di loro rivendicasse il trono d'Inghilterra.
Dopo tre anni dal matrimonio Giovanni morì, e Katherine gli sopravvisse per quattro anni come Duchessa vedova di Lancaster.
Morì il 10 maggio 1403 e fu sempolta nella Cattedrale di Lincoln. I suoi resti non si trovano più in questo luogo poiché la tomba fu devastata nel 1644, durante la guerra civile inglese.

Discendenza

Da Giovanni di Gand, duca di Lancaster:

Giovanni Beaufort, I conte di Somerset fu il bisnonno di Enrico VII d'Inghilterra e nonno di Giacomo II di Scozia.
Joan fu la nonna di Enrico IV e Riccardo III, che Enrico VII sconfisse per impadronirsi del trono.
Da Katherine, una donna di origini relativamente modeste, discesero quindi i Tudor.

Foto di Natale della regina Elisabetta



Dalla residenza di Sandringham, Elisabetta II ha divulgato tramite il profilo FB "The Royal Family" la foto di Natale di quest'anno. Notiamo che tra le consuete foto dei suoi genitori è comparsa al centro una foto di quest'anno con il figlio Carlo, principe di Galles, il nipote William, duca di Cambridge e il pronipote, principe George, nato a luglio.
L'altra foto riguarda l'immancabile messa di Natale nella chiesa di Sandringham.



Dies Natalis Solis Invicti: l'origine pagana delle festività natalizie, dal solstizio d'inverno al 25 dicembre.


La ricorrenza del solstizio d'inverno aveva nell’antichità un valore simbolico fortissimo, ormai pressoché perduto nelle moderne società, dove sopravvivono solo usanze inconsapevolmente tramandate ed adattate nel corso dei secoli.
Toccando il punto più basso dell’ellisse compiuta dalla terra nel suo movimento di rivoluzione, il sole dà visivamente l’impressione di sprofondare, di tramontare per non ricomparire più: siamo in effetti nel giorno più corto dell’anno. Ma poi, quasi per miracolo, il sole risale nella volta celeste, tornando vittorioso a risplendere.
Questa straordinaria manifestazione astronomica veniva ritualizzata dalle antiche popolazioni indoeuropee, che vi associavano significati simbolici ultrasensibili, come d’altronde avveniva per tutti i fenomeni naturali in genere: questi, infatti, non venivano presi in considerazione e sacralizzati nel loro aspetto puramente esteriore, ma in quanto teofanie, per cui il Logos Divino, pur lontano e perduto dall’uomo rispetto all’aurea unità dei primordi, tornava a manifestarsi, con i necessari adattamenti, mediante modalità allegoriche ed in forme tangibili e materiali. La corretta interpretazione di queste forme consentiva pertanto di risalire verso l’alto, di tornare, seppure in modo imperfetto, in contatto con la divinità. 
Attraverso la comprensione dei più reconditi significati dei fenomeni naturali ed esteriori in genere si poteva dunque percepire la presenza di un ordine superiore, invisibile ed immutabile. In questo modo, l’Essere si manifestava nel Divenire, nobilitando quest’ultimo ed attribuendogli un ruolo ed una funzione che non fosse soltanto connessa alle meccaniche materialistiche, come invece avviene, inevitabilmente, nelle attuali società “solidificate”, dove l’occhio umano non riesce a penetrare il guscio formale e sensibile della materia e del divenire, accecato dalle derive razionalistiche e scientistiche.
E così, il fenomeno solstiziale invernale, cui si ricollegarono simbologie connesse alla luce ed al sole che risorge invincibile dagli abissi, richiamava l’idea superiore della rinascita luminosa dalla caduta nelle tenebre, del chiudersi di una fase e dello schiudersi di un nuovo ciclo, della catartica rigenerazione dopo la caduta. Come ricorda Julius Evola, “nel simbolismo primordiale il segno del sole come ‘Vita’, ‘Luce delle Terre’, è anche il segno dell’Uomo. E come nel suo corso annuale il sole muore e rinasce, così anche l’Uomo ha il suo ‘anno’, muore e risorge. Questo stesso significato fu suggerito, nelle origini, dal solstizio d’inverno, a conferirgli il carattere di un ‘mistero’ ” .
Al solstizio d’inverno furono pertanto riagganciate ulteriori manifestazioni simboliche e feste rituali: al “rinascere” del sole si associò il simbolismo dell’albero sempreverde, ad indicare la resurrezione della Luce, o, come sottolineato da Evola, “albero della vita”, che sorge innestando le proprie radici nell’abisso, nonché il simbolismo dell’“Uomo cosmico” con le “braccia alzate”, ulteriore simbolo di rinascita, tradotto d’altronde anche nella runa Algiz. La stessa usanza nordica di accendere sul tradizionale albero delle candele nel giorno in cui cadeva il Solstizio d’inverno riporta all’idea della rinascita e del ritorno vittorioso della luce sulla tenebra.
Così i doni che il Natale porta ai bambini, come ci dice ancoraEvola, “costituiscono un’eco remota, un residuo morenico: l’idea primordiale era il dono di luce e di vita che il Sole nuovo, Il ‘Figlio’, dà agli uomini. Dono da intendersi sia in senso materiale che in senso spirituale”.
L’odierno albero natalizio e lo scambio di regali (peraltro ormai degenerato nel consumismo più sfrenato ed indecente, senza più alcuna valenza neppure lontanamente simbolica o spirituale) sono pertanto una formale reminiscenza di tale originario significato.
Interessanti osservazioni possono farsi osservando quanto accadeva nel mondo romano in questo periodo particolare dell’anno. I Saturnalia, che si svolgevano approssimativamente dalla metà fino al 25-27 dicembre e che si manifestavano in termini di un disordine rituale temporaneo, in vista di una solenne restaurazione ed esaltazione (per contrasto col rovesciamento precedente) dell’ordine permanente, assoluto ed immutabile perché di derivazione trascendente, si ricollegavano al suddetto significato di chiusura e riapertura di un ciclo. A partire da un certo periodo, i Saturnalia si concludevano inoltre con la festa del dies natalis Solis Invicti, connessa all’introduzione a Roma del culto del Sol Invictus. Non è un caso, tra l’altro, che in origine il solstizio d’inverno coincidesse con l’inizio del nuovo anno.
Più precisamente fu l’imperatore Aureliano, dopo la vittoria sulla regina Zenobia a seguito del provvidenziale aiuto della città-stato di Emesa, dove era ampiamente diffuso il culto del dio Sol Invictus, a trasferire a Roma i sacerdoti di questa divinità, ufficializzandone il culto solare e consacrando sulle pendici del Quirinale un tempio al dio proprio il 25 dicembre dell’anno 274, che prese appunto il nome di dies natalis Solis Invicti, “giorno di nascita del Sole Invitto”. In questo modo, il dio-sole divenne la principale divinità romana del periodo imperiale e lo stesso imperatore indossò una corona a raggi (3). Al di là dei motivi di gratitudine personale, l’adozione del culto del Sol Invictus fu comunque vista da Aureliano come un forte elemento di coesione dato che, in varie forme, il culto del Sole era presente in tutte le regioni dell’impero.
In tutto ciò indubbiamente pesò anche l’influenza dell’antica tradizione indo-iranica, attraverso il mithraismo, che per un certo periodo si disputò col Cristianesimo il dominio spirituale dell’Occidente. Per quanto il Sol Invictus di Aureliano non fosse ufficialmente identificato con Mitra, le somiglianze erano molteplici, compresa l’iconografia del dio rappresentato come un giovane senza barba: non si dimentichi d’altronde che l’elemento solare era fondamentale nel culto mithraico.
Anche l’imperatore Costantino fu inizialmente un cultore del Dio Sole, in qualità di Pontifex Maximus dei Romani; raffigurò il Sol Invictus sulla sua monetazione ufficiale, con l’iscrizione “soli invicto comiti”, e con un decreto del 321 stabilì che il primo giorno della settimana, il giorno del Sole, dies solis, dovesse essere dedicato al riposo. 

Abbracciata poi la fede cristiana (vicenda sui cui reali contorni, com’è noto, si è molto polemizzato), dopo il celebre editto del 313, nel 330 Costantino decretò per la prima volta il festeggiamento cristiano della natività di Gesù, che fu fatta coincidere con la festività della nascita di Sol Invictus. Successivamente, nel 337, papa Giulio I ufficializzò la data del Natale da parte della Chiesa Cristiana. La religione del Sol Invictus continuò peraltro ad essere fortemente sentita fino al celebre editto di Tessalonica di Teodosio I del 380, in cui l’imperatore stabiliva che l’unicareligione di stato era il Cristianesimo di Nicea, bandendo di fatto ogni altro culto. Giustiniano, con la chiusura dell’ultimo tempio in onore di Iside in Egitto nel 536, diede il definitivo via libera all’affermazione del Natale cristiano in tutto l’Impero Romano.
E’ importante a questo punto fare una precisazione. Gli elementi appena esposti, unitamente ad altre informazioni piuttosto note sulle analogie tra la nascita di Cristo e quella di altri personaggi divini o semi-divini appartenenti a tradizioni pre-cristiane o comunque estranee all’ambito culturale e storico del Cristianesimo (per le quali si rinvia anche a quanto osservato nelle note del presente articolo), vengono frequentemente considerati, in ambienti atei, agnostici, laici e razionalisti, ma anche in ambienti cosiddetti neo-pagani o comunque facenti capo ad alcune destre tradizionaliste, come prova lampante della falsità del Cristianesimo, che avrebbe illegittimamente spodestato le religioni “pagane” ad esso anteriori, riprendendone ed adattandone ad arte le festività, i simboli, le divinità.
In realtà, al di là di quelli che sono stati e sono i rapporti ufficiali tra culti pre-cristiani e Cristianesimo, e tra gli strenui difensori dell’una o dell’altra visione, in un’ottica che si riallacci correttamente all’unità trascendente di tutte le religioni pure e regolari manifestatesi nella storia, considerate nei rispettivi limiti temporali e spaziali e secondo le loro specifiche funzioni nel ciclo di spettanza, è necessario rintracciare il minimo comun denominatore che riconduce alla comune origine tutte queste ierofanie.
Di fatto, accennando soltanto ad una questione di portata talmente ampia da richiedere una trattazione a sé stante, il Cristianesimo ha riassorbito e rimodulato simboli, rituali e ricorrenze spirituali antecedenti alla propria diffusione, e ciò, indipendentemente da come sia avvenuto su un piano meramente pratico e fattivo, è stato funzionale alla propria finalità ultima: nel momento in cui le tradizioni precedenti avevano esaurito la loro forza propulsiva, essendo giunte ad un livello di degenerescenza estremo che faceva presagire la fine del loro ciclo di esistenza, si manifestò il Cristianesimo, quale ultima e definitiva ierofania, perlomeno in Occidente, che riunificò e portò a compimento quanto di regolare e puro s’era manifestato precedentemente, mantenendo la tradizione occidentale nell’unica forma ormai possibile – nell’ottica di un inevitabile processo di decadenza sotteso alla dottrina delle quattro età dell’umanità – cioè quella soteriologica ed essoterica. Le forme iniziatiche ed esoteriche sono state adattate e compresse in un piano necessariamente più ristretto, conformemente alle caratteristiche dell’epoca in cui il Cristianesimo ha cominciato a manifestarsi, ma comunque esistente, perché ogni culto regolare deve articolarsi in entrambi i domini, per quanto essi si palesino in modo differente a seconda della struttura causale della religione di riferimento, nonché delle fasi del ciclo cosmico (e del relativo livello di decadenza dell’umanità) in cui essa stessa si manifesta.
Fatta questa premessa, si può facilmente convenire sul fatto che la contrapposizione tra luce e tenebra è un tema ricorrente in tutte le grandi Tradizioni, e che d’altronde il sole è una deisimboli ancestrali o archetipi collettivi più conosciuti ed antichi del mondo.
Così è stato anche nel Cristianesimo, dove, con riferimento alla figura del Cristo risorto e vincitore sulle tenebre del male e della morte, hanno trovato definitivo compimento le prefigurazioni ed i simbolismi luminosi e solari già presenti nel Vecchio Testamento e poi nei Vangeli.
L’identificazione di Gesù con il sole preannunciato da Malachia è implicita già nel primo capitolo del Vangelo di Luca (78-79), in cui Zaccaria, quando preannuncia che Giovanni Battista andrà “dinanzi al Signore a preparargli la via”, profetizza che “verrà a visitarci dall’alto un sole che sorge per rischiarare quelli che stanno nelle tenebre e nell’ombra della morte”; nel capitolo successivo (2, 32) Gesù è presentato come “luce per illuminare le genti”. In Giovanni, il tema viene ancora più messo in evidenza: nel celebre Prologo Cristo è ripetutamente indicato comeluce (1, 4-9); e ancora: 3,19, “la luce è venuta nel mondo”; 8,12 e 9,5: Cristo come “luce del mondo”; 12,35-36 e 46: “ancora per poco tempo la luce è con voi (…). Mentre avete la lucecredete nella luce, per diventare figli della luce (…). Io come luce sono venuto nel mondo”; I lett.,2,8: “(…) poiché le tenebre stanno diradandosi e la vera luce già risplende”.
La stessa iconografia cristiana adottò fin dalle origini alcuni dei tratti del culto del dio-sole Helios/Sol Invictus, come è evidente nei primi esempi di raffigurazione di Cristo con gli attributi solari, come la corona radiata con dodici raggi (raffiguranti gli apostoli; il numero dodici peraltro ha una profonda valenza simbolica in tutte le tradizioni) e, in alcuni casi, il carro solare: l’esempio più noto è quello della rappresentazione in un mosaico del III secolo nelle grotte Vaticane, sotto la basilica di San Pietro, sul pavimento della tomba di papa Giulio I. L’epiteto di “Sol Iustitiae”, di derivazione biblica, come visto, si diffuse ulteriormente nei primi secoli dopo Cristo per indicare il Redentore.
Cristo Pantocrator, mosaico, Duomo di Monreale
Cristo Pantocrator, mosaico, Duomo di Monreale
Una seconda metafora solare in seno al Cristianesimo traeva origine dalla concetto stesso di Resurrezione, che veniva facilmente accostata al sole che risorge ogni mattina dalla “morte” notturna. In accordo con questa analogia i primi cristiani pregavano in direzione del sole nascente, e pertanto nei primi anni della fede cristiana è probabile che i cristiani pregassero in direzione del tempio di Gerusalemme (con allusione alla Resurrezione ed al definitivo ritorno del Cristo con la Parusia). Successivamente, dopo la distruzione del tempio, i cristiani posero sulla parete orientale dei propri luoghi sacri una croce e pregarono in quella direzione. Per molti secoli le chiese furono costruite con l’abside (su cui era rappresentata la croce e successivamente l’immagine del Cristo pantocrator, ed in cui comunque era d’uso realizzare vetrate con riferimenti visivi al sole o alla redenzione) orientata ad est (da cui il termine “orientazione”), punto dove il sole sorge, invitto dopo la lotta contro le tenebre, e sale lungo la volta celeste (13).
A livello simbolico l’uso delle raffigurazioni solari in ambito cristiano fu altrettanto sistematico: già Costantino (perlomeno secondo le indicazioni di scrittori cristiani quali Eusebio, Lattanzio ed altri) adottò e diffuse, ponendolo entro un cerchio, forse una corona d’alloro in segno di vittoria o forse un simbolo solare, il Chi Rho o monogramma di Cristo, che ebbe origine nella parte orientale dell’Impero romano, rappresentato dalle lettere X e P dell’alfabeto greco (iniziali di ‘Χριστός’) sovrapposte.
Il trigramma di Bernardino da Siena “JHS” o “IHS”, formato dalle prime tre lettere del nome greco di Gesù (ΙΗΣΟΥΣ), poi interpretato come un acrostico latino ed utilizzato come monogramma, fu successivamente arricchito di altri particolari grafici, ed in particolare fu sormontato da una croce e posto all’interno di una razza fiammante (è il simbolo adottato dai Gesuiti): è frequentissimo trovare nelle chiese e nelle basiliche questo monogramma inserito in dischi solari fiammeggianti, ora scolpiti nel legno o nel marmo, ora dipinti, ora in rilievo. Uno degli esempi più significativi è quello del gigantesco monogramma solare sorretto da due angeli che sovrasta l’altare maggiore della Chiesa del Gesù a Roma (nel cui timpano campeggia un ulteriore sole fiammeggiante), di cui peraltro, nella sacrestia, si può ammirare anche una splendida versione in stucco dorato su fondo azzurro.
Storicamente anche il passaggio degli ostensori da teca (cd. ostensori architettonici) a quelli con la forma di un disco solare fiammeggiante è piuttosto indicativo.
Più in generale, al di là delle migliaia di affreschi e pitture raffiguranti elementi luminosi e solari, la raggiera fiammeggiante è usata con grandissima frequenza nelle Chiese, internamente o esternamente. Ad esempio, nella parte esterna dell’abside del Duomo di Milano vi è la raffigurazione della Trinità, in cui il Cristo è rappresentato come un sole fiammeggiante in pietra; nella vetrata dell’abside di San Pietro, il trono ligneo noto come Cathedra Petri è sormontato da un finestrone dal fondo dorato in alabastro, raffigurante una colomba, simbolodello Spirito Santo, emanante raggi luminosi, circondata da una raggiera solare di stucchi dorati contornata da angeli: il capolavoro del Bernini produce straordinari effetti luminosi soprattutto quando il sole, nel pomeriggio, scende dietro l’abside.
La stessa Croce celtica a sua volta, com’è noto, è nata probabilmente quando, a seguito dell’evangelizzazione dell’Irlanda con la predicazione di San Patrizio, il simbolo cristico fu innestato sulla ruota solare di origine pre-cristiana (che di per sé, comunque, comprendeva già una croce inscritta).
In conclusione, è evidente quanto sia importante avere una visione d’insieme che consenta di individuare gli archetipi e gli elementi comuni che riconducono tutte le Tradizioni regolari alla comune matrice, piuttosto che perdersi in polemiche, demonizzazioni e critiche reciproche che, in ultima analisi, non fanno altro che rinforzare il già potente e multiforme fronte della contro-tradizione, il vero trionfatore di quest’epoca oscura, che dalla divisione e dalla frammentazione delle Forze Tradizionali non può che trarre sempre nuova linfa vitale.