martedì 21 gennaio 2014

Geopolitica del Medio Oriente



Dalla rivista "Limes"

 Il conflitto civile siriano visto nel più ampio contesto mediorientale. In viola lo schieramento che sostiene la Siria del presidente al-Assad: Libano, Iraq e Iran. La carta riporta i flussi finanziari, di armamenti e di uomini che riforniscono le truppe lealiste siriane. Lo schieramento a sostegno dei ribelli è invece in giallo ocra, e comprende l'Egitto, la Giordania e i paesi del Golfo. La Turchia, apparentemente defilata, resta in vigile attesa. Frattanto, le unità aeronavali delle grandi potenze prendono posto alle spalle dei contendenti regionali. Il Mediterraneo orientale è così solcato dalle flotte di Russia, Regno Unito, Francia e Stati Uniti, le cui squadre già stazionano tutt'intorno alla Penisola arabica.



O mangi la minestra dell'accordo di Ginevra-2 o salti dalla finestra: è questo in sintesi il messaggio più volte ripetuto alle opposizioni siriane dalle cancellerie occidentali, incapaci finora di escogitare una formula politica meno ambigua di quella che da domani sarà sul tavolo di Montreux, imbandito dall’inviato Onu Lakhdar Brahimi.


Per l’anziano diplomatico algerino conta soprattutto che domani si cominci.
 Conta che di fronte alle telecamere e alle macchine fotografiche gli attori sorridano e stringano le mani al cerimoniere. Nessuno potrà dire che la “comunità internazionale” non ha provato a trovare una soluzione. Se poi le parti non troveranno un’intesa “sarà colpa loro”.

Accantonata definitivamente l’opzione militare dopo l’accordo sulle armi chimichesponsorizzato da Russia e Stati Uniti, gli 11 paesi che almeno formalmente appoggiano la coalizione delle opposizioni in esilio (Cns) hanno sostenuto Brahimi nel fare di tutto perché l’incontro svizzero non dovesse essere rimandato per l’ennesima volta.


Perché se la sedia riservata all’opposizione non fosse stata occupata, la conferenza non si sarebbe potuta svolgere: da qui le fortissime pressioni esercitate sui membri del Cns più vicini all’Arabia Saudita perché ci siano almeno loro.

Senza un concreto sostegno occidentale, il Cns è però una piattaforma di oppositori in esilio, incapaci di formare un governo nelle regioni settentrionali del paese e di rappresentare a livello locale un’alternativa credibile al regime e ai qaedisti.

Inoltre, come era previsto, la Coalizione si è spaccata: l’ala più vicina alla Fratellanza musulmana - in esilio e illegale in Siria dal 1980 - è uscita formalmente dalla piattaforma.

Nei giorni scorsi, l’opposizione in patria - detta ‘tollerata’ dal regime, anche se numerosi suoi membri finiscono regolarmente nelle segrete celle di Damasco – aveva annunciato che non sarebbe andata a Montreux. Ma nelle ultime ore pare che alcuni suoi membri siano in viaggio verso il lago Lemano.

Dal canto suo, il regime di Bashar al Asad invia una delegazione di membri del potere formale e visibile del regime: esecutori e nulla più. Il ministro degli Esteri, Walid al Muallim, guida infatti una squadra composta da personaggi che nelle stanze dei bottoni di Damasco non sono mai entrati. E mai entreranno.

Ma poco importa a Brahimi, che fino all’ultimo si è ostinato a organizzare una conferenza che risponda alle categorie occidentali: qui l’opposizione e qui il governo. Come se in Siria ci fosse una maggioranza che governa e una minoranza che fa opposizione. Come se il principio dell’alternanza fosse una realtà consolidata. Come se l’opposizione invitata a Montreux possa veramente contare su una rappresentanza interna. E come se il governo siriano fosse davvero titolare dell’esecutivo.

Di fondo, la formula di Ginevra prevede solo un vago percorso per la transizione politica siriana:

1) negoziati tra governo siriano e oppositori; per arrivare alla2) formazione di un governo di transizione che abbia pieni poteri esecutivi per un periodo stabilito in maniera consensuale;
3) il governo transitorio avrà il compito di fissare quello che due risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’Onu - quindi anche Russia e Cina - hanno chiamato un sistema politico siriano “democratico e pluralista”.

Il testo è pieno di insidie. In primis non si affronta il problema di cosa ne sarà di Assad. Ma al raìs andrà di lusso: con questo governo di transizione i poteri reali rimarranno in mano a lui e ai suoi alleati russo e iraniano, ed egli potrà dire di aver comunque fatto importanti concessioni. Mentre continuerà a bombardare indisturbato le aree civili solidali con la rivolta; mentre proseguiranno gli assedi medievali ad alcune enclave ribelli; mentre non si arresterà la pulizia confessionale nella regione di Homs.

Le opposizioni, dal canto loro, devono accettare col sorriso di essere intrappolate in un’istituzione priva di vero potere. Sono costrette: chi nel novembre 2012 ha spinto per la creazione del Cns oggi ha imposto che si siedano a Montreux. Ma per loro presentarsi ai negoziati comporta un’ulteriore perdita di fiducia politica. Eppure non hanno più altre sedi dove poter far sentire la loro voce.

Tra l’altro, la resistenza armata nazionalista non è appoggiata dalle potenze occidentali e questo favorisce l’emergere di gruppi di insorti radicali. Ostili al Cns, i gruppi islamici - sostenuti da varie entità arabe del Golfo, statuali e private - sono rimasti gli unici a contrastare con le armi il regime e i qaidisti dello Stato islamico dell’Iraq e del Levante (Isis).

La formula di Ginevra è ambigua anche per quanto riguarda la visione strategica regionale, non prevedendo di metter sul piatto gli interessi sovrapposti dei vari paesi coinvolti nel conflitto.

L’Arabia Saudita, membro degli 11 paesi vicini al Cns, sarà a Montreux. L’Iran no.Nelle ultime ore sembrava che il tardivo invito dell’Onu (inviato ad appena 48 ore dall’inizio dell’incontro) potesse essere accettato. La mossa delle Nazioni Unite è stata solo di facciata, così come il rifiuto di Teheran: tutti sapevano che Stati Uniti e il Cns avrebbero respinto la presenza iraniana a Montreux, minacciando di non presentarsi all’incontro; tutti sapevano che la Repubblica islamica non accetta la formula di Ginevra.

Ancor di più, tutti sanno che l’accordo con l’Iran sulla Siria può essere raggiunto- sopra o sotto il tavolo poco importa - in base a un’intesa più ampia, che tenga conto anche di altre questioni (il nucleare, ad esempio) e altri scenari (gli interessi in Asia Centrale).

In ogni caso, per l’Iran gli incontri svizzeri sono ininfluenti. Per Teheran, come per Mosca, in Siria si tratta di difendere un’influenza stabilita da decenni. E ogni eventuale pareggio è una vittoria.

Il fallimento di Montreux garantirà invece maggior copertura diplomatico-politica alla decisiva azione russo-iraniana di contro-insurrezione sul terreno. E un eventuale “successo” - considerato tale rispetto alla formula di Ginevra - sarà monetizzato solo da Assad e suoi.


Nessun commento:

Posta un commento