sabato 13 settembre 2014

Catabasi. Capitolo 1.




Viveva solo, in una vecchia casa, ai margini di una città decaduta, in una terra senza speranza.
Roderik era il suo nome.
Il cognome non aveva importanza. Ormai era lui solo a portarlo e si sarebbe estinto con lui.
Eppure vi era stato un tempo in cui la sua famiglia era numerosa e aveva goduto persino di un certo rispetto.

Per tre rami fiorì la mia stirpe, per sette manieri silvani.
Ma fu presto stanca del vecchio blasone. Piegò sotto il peso degli anni.
L'antico retaggio degli avi è tutto ciò ch'io le acquisto e le apporto.
Sono ormai senza patria nel mondo. (R. M. Rilke)

L'autunno era incominciato prima del tempo, dopo un'estate fredda e piovosa.
Il colore delle nubi era, nel migliore dei casi, lattiginoso.
"Hanno il colore dello sporco", avrebbe detto una delle sue zie, morte da tempo.
Mai frase era stata più efficace per descrivere i cieli sotto i quali tirava avanti un'umanità degradata.
Non era sempre stato così.
Nei giorni della sua infanzia splendeva una luce così brillante da rimanerne abbagliati.
Dov'è finita tutta quella luce?
Non c'era stato un crollo vero e proprio, quanto piuttosto un lungo declino.
Lentamente i giorni si erano inaspriti. Persino il sole si era fatto più opaco.
Dov'era finito il vigore delle generazioni precedenti.
I suoi nonni avevano lavorato duramente e creato le condizioni per una certa prosperità.
La stessa casa dove viveva era stata costruita da suo nonno in un momento in cui si era creduto che il futuro sarebbe stato migliore. 
Credevano che quello fosse solo l'inizio di una crescita senza fine, e che i giorni a venire avrebbero portato sempre nuovi miglioramenti.

La generazione dei miei genitori sognava l'Utopia. 
Una generazione di illusi, senza dubbio, ma andava concessa loro l'attenuante della buona fede.
Hanno pagato caro il prezzo della loro ingenuità. 
Ma per la generazione successiva, quella di Roderik, il prezzo era stato ancora più alto.
Siamo cresciuti nel benessere, come piccoli principi. 
Eravamo i figli dell'estate. Poi un giorno ci siamo accorti che era tutto falso e che la generazione che ci aveva preceduto, ci lasciava solo debiti e  terra bruciata.
Per quel che lo riguardava personalmente, l'unica eredità che aveva ricevuto dalla sua famiglia, quando uno dopo l'altro i suoi parenti avevano ceduto all'età e alla malattia, era la casa diroccata in cui era nato ed era tornato a vivere, dopo anni trascorsi lontano.
Forse una ventina d'anni prima sarebbe stata ancora vendibile, ma ormai, in quelle condizioni, nessuno l'avrebbe voluta, neanche gratis.
Troppe spese di manutenzione e troppe tasse.
Mi costa di più in tasse di quello che spenderei se vivessi in affitto in un appartamento decente.
Avrebbe dovuto rifiutare l'eredità e trasferirsi da un'altra parte, ma c'era un legame affettivo che lo aveva indotto a restare.
E comunque, era troppo pessimista per ricominciare una nuova esistenza alla sua età.

Se hai sprecato la tua vita in questo discreto angolo di mondo, allora l'hai sprecata su tutta la terra. (K. Kavafis)

Non che fosse vecchio, ma non era più nemmeno giovane, per quanto il suo aspetto da eterno ragazzo mai cresciuto del tutto lo facesse sembrare decisamente più giovane di quel che era.
Esteriormente pareva sano e forte.
Il suo tormento era tutto interiore ed invisibile a chi di lui avesse solo una conoscenza superficiale.
E del reso ben pochi potevano dire di conoscerlo realmente.
Non amava ricevere visite e nemmeno telefonate.
Io sono come il fuoco. A distanza posso dare luce e calore, ma chi si avvicina troppo a me può rimanere scottato.
E poi c'erano altre considerazioni, di carattere più generale.
Più i mezzi di comunicazione si facevano invadenti e più lui cercava di tenerli lontani dalla sua sfera privata.
Era geloso della propria libertà.
Quante rinunce aveva fatto per salvaguardarla! Quante scelte difficili!

Su i quaderni di scolaro
Su i miei banchi e gli alberi
Su la sabbia su la neve
Scrivo il tuo nome
Su ogni pagina che ho letto
Su ogni pagina che è bianca
Sasso sangue carta o cenere
Scrivo il tuo nome
Su le immagini dorate
Su le armi dei guerrieri
Su la corona dei re
Scrivo il tuo nome
Su la giungla ed il deserto
Su i nidi su le ginestre
Su la eco dell'infanzia
Scrivo il tuo nome
Su i miracoli notturni
Sul pan bianco dei miei giorni
Le stagioni fidanzate 
Scrivo il tuo nome
Sopra i vetri di stupore
Su le labbra attente
Tanto più su del silenzio
Scrivo il tuo nome
Sopra i miei rifugi infranti
Sopra i miei fari crollati 
Su le mura del mio tedio 
Scrivo il tuo nome
Su l'assenza che non chiede
Su la nuda solitudine
Su i gradini della morte
Scrivo il tuo nome
Sul vigore ritornato
Sul pericolo svanito
Su l'immemore speranza 
Scrivo il tuo nome
E in virtù d'una parola
Ricomincio la mia vita
Sono nato per conoscerti
Per chiamarti
Libertà.
Paul Eluard

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