domenica 10 gennaio 2016

Poesia. La Caduta di Costantinopoli



Ascoltaci Grande Sultano:
noi siamo i figli e gli eredi,
la rea progenie dissipata,
e un dì tutti erano ai piedi
degli avi nostri, nel lontano 
tempo in cui fu loro onore
assoggettare e convertire. 
Poi si pentirono, chiesero perdono,
ma l'impero s'era già sfasciato,
e loro credevano ancora di stare
al centro, per non sentire
i vostri eserciti avanzanti
a forza di demografia e di Corano.
Abbi pietà, Grande Sultano:
noi siamo i figli e gli eredi
di questo cumulo di memorie
che non è poi tutto da buttare, 
e mentre entrate nelle sedi
del nostro privilegio consumato,
non infierite sui noi sterili 
rampolli esangui che già
la corrente trascina, come vedi,
perché siamo i figli e gli eredi, 
ma voi siete il Futuro che cammina:
di noi spiriti inquieti riderete
e saremo statuette negli arredi vostri
sulla nostra rovina.


Questa poesia, tratta dalla raccolta "Mutamenti invariabili" (2003) di Riccardo Querciagrossa, pur trattando apparentemente dell'evento storico della caduta di Bisanzio nelle mani del Sultano Turco Maometto II della dinastia Ottomana, è in realtà riferita all'offensiva del mondo Islamico contro la Vecchia Europa, che non prova nemmeno a difendersi, vittima nel contempo di attentati e di una continua migrazione di popolazioni islamiche che risultano restie ad integrarsi nel mondo occidentale.
Questa poesia è tra l'altro tristemente profetica, in quanto fu scritta 13 anni fa, prima degli attentati di Madrid, di Londra, di Parigi e delle grandi migrazioni che si sono succedute soprattutto dopo la cosiddetta Primavera Araba e la successiva nascita, nell'ambito delle guerre civili mediorientali, dello Stato Islamico e del suo Califfato. Ma il Sultano può essere anche individuato in un personaggio scaltro e ambiguo come il presidente-padrone della Turchia, Erdogan, o anche con i potentissimi membri della dinastia Saudita.

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