martedì 7 giugno 2016

Le generazioni: Baby Boomers, Generazione X, Generazione Y, Millennials e Generazione Z




I Gen X: i più sottovalutati. Entrati nel mondo del lavoro con più lauree e master dei propri genitori. I Generation Y, stirpe impaziente ma distratta, con record di disturbi da deficit d’attenzione e iperattività

Baby-boomer, millennial, X, Z. Tu lo sai di che generazione sei?

Sono la generazione più vasta di sempre: 2,3 miliardi, la metà della forza lavoro mondiale entro il 2020. Ma se i Millennial eccitano le fantasie delle agenzie di marketing, gli esperti di generazioni guardano già oltre. Il futuro, per loro, è la «Generation Z», ovvero i nati dal 2005 in poi. Categoria ancora in divenire, della quale non è certo neanche il nome. Per trovarlo, USA Today aveva indetto un sondaggio: tra le proposte, «iGeneration» e «Generation Wii». Perché se un tempo per «battezzare» una generazione si aspettava che fosse passata da vent’anni, ora lo si fa prima che nasca. Anche questo è business.

Se però nel 2014 compite tra 50 e 68 anni, altro che Z: siete «baby boomer». Quelli dell’esplosione demografica (il picco nel 1957, quando negli USA nacquero 4,3 milioni di bambini): assertivi, disinvolti e ambiziosi. Gente ottimista, cresciuta nel boom economico, con redditi elevati e grande capacità di risparmio, anche se oggi alcuni vedono deteriorata la propria posizione finanziaria, e ritardano l’età della pensione. È la prima generazione attenta alla forma fisica, la prima a concedersi «rimedi» contro la mezza età. Gente «giusta» nata al momento giusto, tutti drogati di lavoro (gli ultimi boomer sono gli yuppie, i giovani vincenti dell’era reaganiana).


Gente che secondo Salon ha rovinato i propri figli, crescendoli nel mito di «puoi avere tutto ciò che vuoi» e «non permettere a nessuno di mettersi fra te e i tuoi obiettivi», senza capire che il mondo nel frattempo era cambiato, che la crisi e la deindustrializzazione avevano trasformato le loro certezze in precarietà. Genitori ingombranti, alibi fantastico e reale. Quelli a cui ne «Il capitale umano» Paolo Virzì fa dire, «per voi ci siamo giocati tutto, anche il vostro futuro». Oggi hanno una nuova vita social: il 75% è su Facebook, e molti hanno sperimentato il sexting (scambio di messaggi e/o foto a contenuto sessuale), con conseguenze disastrose. Quando però si raccontano su «Booming», il blog che dedica loro il New York Times, discettano di come risolvere conflitti, col marito, sul lavoro, con la signora delle pulizie.

I figli maggiori dei boomer sono i «Generation X», secondo l’espressione resa popolare da Doug Coupland nel romanzo del 1991. Quei poveretti venuti al mondo tra il 1965 e il 1980 e condannati dal film «Giovani, carini e disoccupati» (1994) a imperitura leggenda di fannulloneria. Apatici, precari nel lavoro e nella vita, senza obiettivi, affetti o identità sociale (da cui la X, appunto). I più anziani dei quali, dopo aver vissuto alla giornata per 49 anni, oggi entrano nella mezza età, e per la prima volta devono pensare a lungo termine. La «Generazione Mtv», tanto angustiata da adottare come divisa (e scudo) il grunge, il cui manifesto era il video dei Nirvana «Smells like teen spirit». E forse l’inganno è tutto lì. In quel «teen spirit» confuso dai fattivi boomer per spirito adolescenziale, mentre era solo il nome del deodorante dell’allora fidanzata di Kurt Cobain. Gli esperti, infatti, assolvono i Gen X. I più sottovalutati. Entrati nel mondo del lavoro con più lauree e master dei propri genitori, ma nella recessione, con le retribuzioni ai minimi. E se quadratissimi non sono (scorrendo gli status di WhatsApp, tutti i trentenni si dicono «A scuola», i quarantenni dormono), sono anche quelli cui si deve lo sviluppo del web: giganti come Google e Yahoo! li hanno creati loro, e senza tirarsela come i propri padri.

È grazie ai Gen X che esistono i nativi digitali. Che sono poi la maggior parte dei Millennial: «Generation Y», com’erano chiamati nei Novanta. I primi a non aver bisogno di un adulto per reperire informazioni (anzi, sono loro a «istruire» genitori e insegnanti). Stirpe impaziente ma distratta, con record di disturbi da deficit d’attenzione e iperattività. Gli sdraiati, i «me me me». Che per strada sbattono contro i pali della luce perché hanno la testa infilata nello smartphone, e se per caso la sollevano non dicono «ciao, come stai?», ma «ciao, come sto?». Una generazione segnata da grandi conquiste sul fronte della parità (negli USA le Millennial guadagnano all’ora il 93% di un uomo, e il 61% vuole diventare top manager), ma che ha sacrificato la famiglia (il 75% dei Millennial è single, il 62% ritiene che un figlio ritardi la carriera, il 42% non ne vuole).

E la Generazione Z? Per gli esperti sarà definita da ciò che la precede. Una generazione «post», seguita a eventi che hanno cambiato il mondo, come l’11 Settembre e Facebook. Ecco perché, con un gioco di parole, alcuni la chiamano «Post Gen». Generazione «post» che si racconta in un post.

di Costanza Rizzacasa d’Orsogna


Tags: figli, generazione, generazioni, genitori, internet, lavoro, smartphone, x, y, z

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