venerdì 14 ottobre 2016

Mappa dell'Europa se tutti i movimenti separatisti avessero successo.

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Sull'argomento, riportiamo qui sotto un interessante articolo di Mattia Carli, su Azione Culturale, una rivista on-line di grande interesse e lucidità di analisi politica e geopolitica:
https://www.azioneculturale.eu/2016/07/il-fenomeno-dellindipendentismo/

Scrive Mattia Carli su Azione Culturale:

"Ogni qualvolta viene toccato il tema dell’indipendentismo, particolarmente sentito nella mia terra, il Veneto, le reazioni contrarie sono molteplici, e tutte stupiscono per la loro superficialità e qualunquismo.

Quando va bene parte la solita litania “mentalmente aperta” su come aspirare allo Stato piccolo sia indice di provincialismo ed anacronismo rispetto alla tendenza a creare super-stati ed unioni internazionali, che tali Stati sarebbero del tutto inadeguati alle sfide della globalizzazione, portando solo frammentazione e particolarismo, e spesso paventando pure scenari catastrofisti di diffuse guerre civili e secessioniste; il tutto magari condito dal sermone vetero-risorgimentale su come ciò significherebbe tradire gli ideali di Mazzini, Garibaldi, e via dicendo.

Quando va male, invece, salta fuori un odio tanto veemente che se fosse diretto verso africani, ebrei o musulmani, scoppierebbe un caso nazionale di razzismo e intolleranza, con tanto di appelli strappalacrime dal coro della sinistra radical-chic: i veneti vengono additati come ubriaconi razzisti ed ignoranti, aizzati da populisti altrettanto retrogradi.
Tra l’altro si può tranquillamente notare che queste obiezioni non vengono sollevate quando si parla delle aspirazioni di popoli extraeuropei: basta vedere come spesso viene eroicamente esaltato il tentativo di emancipazione della Palestina da Israele dagli stessi che disprezzano quei popoli europei che prendono la stessa iniziativa. Questo semplicemente per la nota coerenza benpensante.

Poiché per interesse personale seguo anche le vicende di regioni come la Catalogna, posso constatare che le reazioni sopra elencate si ripetono dovunque, con minime variazioni nella retorica usata, e tutte hanno in comune il fatto che nessuna di esse si pone i problemi fondamentali della questione: perché nei veneti, nonché in molti altri popoli europei (catalani, baschi, scozzesi, fiamminghi per citarne alcuni) sta prendendo piede l’ideale dell’indipendentismo? Perché a loro lo status quo attuale non va più bene? Qual è il significato del fenomeno dell’indipendentismo?

Il motivo principale per cui l’indipendentismo viene considerato strano, quando non criminale, va ricercato nel fatto che noi tutti vediamo l’attuale carta geografica come la fine della storia, come la meta a cui dovevano necessariamente portare tutti gli sconvolgimenti geografici precedenti. Ne è complice il fatto che la storia insegnata è sempre una versione dei fatti volta a giustificare la realtà esistente. No, non è complottismo, le interpretazioni della storia variano costantemente: basta vedere come è cambiata la concezione del Medioevo presso gli studiosi negli ultimi decenni, che da periodo buio lo hanno riabilitato a periodo pieno di fondamentali cambiamenti ed invenzioni.

La Storia si evolve costantemente, senza un cammino di predestinazione, e con essa gli Stati, dato che non sono assoluti ma relativi ad un determinato periodo storico: scrive Jean-Jacques Rousseau nel Contratto Sociale: “Se Sparta e Roma sono perite, quale stato può sperare di durare per sempre?”. E basta guardare una cartina geografica di pochi decenni fa per dargli assolutamente ragione.

A partire da questo presupposto si possono ben capire molti perché dell’indipendentismo: gli Stati che oggi conosciamo come tali si sono formati in un determinato periodo storico; l’Italia, ad esempio, a seguito dei fermenti dell’ideologia nazionalista e romantica ottocentesca. Ora però viviamo in un altro periodo storico, e non vedo perché la fisionomia dello Stato debba rimanere ancorata a un ideale ormai morto e sepolto, specie se questo Stato si sta dimostrando sempre più inefficiente.

Altro punto secondo me importantissimo della questione è relativo al fenomeno e connesse interpretazioni della globalizzazione. Essa è un processo storico, in se né benigno né maligno; ha portato molte opportunità di arricchimento culturale, ma anche molti  danni e rischi. La vulgata europeista e della sinistra arcobaleno vorrebbe che, a causa di tale processo e delle modifiche che esso ha apportato allo stile di vita di ciascuna nazione, si debba rinunciare alla propria sovranità nazionale, al proprio “particolarismo” in nome dell’unità dei vari popoli all’insegna del reciproco arricchimento e rispetto. Solo che non si capisce bene come dei popoli omologati a forza possano arricchirsi vicendevolmente. Anzi, l’obiettivo sembra proprio quello di giungere al modello del cittadino apolide, a cui imporre un solo modello: quello consumistico e liberal-progressista filoamericano.

L’indipendentismo nasce anche da ciò: dall’esigenza di vari popoli di dire “ci siamo anche noi”, “non siamo soltanto un sottogruppo di tale Stato”, “abbiamo lo stesso diritto di esistere di voi”. Nasce dall’opposizione sia a questa mentalità che tende a trasformare la globalizzazione in una ideologia omologatrice che non esito a definire razzista, in quanto colui che veramente ama le differenze altrui è colui che le rispetta e che non pretende di modificarle, annacquarle o sottometterle, sia a quei retaggi del nazionalismo più oppressivo (presente, in varie sfumature, in molte fazioni politiche) che vorrebbe che le comunità locali appartenenti ad uno stesso Stato, regione geografica, o addirittura ideale, debbano per forza condividerne anche la mentalità, il modello economico-sociale, la volontà, e che quindi vede le particolarità e culture locali come un ostacolo al raggiungimento del proprio modello nazionale.

Un’altra cosa da chiarire riguardo al fenomeno: il sentire comune di una popolazione verso una comunità richiedente l’indipendenza è che essi lo facciano per un senso di superiorità, per odio e disprezzo verso il popolo dello Stato in cui si trovano. Niente di più sbagliato: semmai ciò che reclamano è dovuto proprio al fatto che essi si trovano in una situazione di inferiorità, non potendo disporre della propria autodeterminazione e trovandosi legati ad uno Stato in cui non si riconoscono. Semmai lo sprezzante con manie di superiorità è proprio colui che si arroga il diritto di decidere chi può essere padrone di un proprio Stato e del proprio destino, e chi no.

Infine, c’è chi teme che il fenomeno indipendentista porterebbe a frammentare tanto l’Europa da immaginarsi improbabili scenari di un continente suddiviso in migliaia di città-Stato. Il motivo per cui ciò è assurdo è semplice: l’opinione pubblica non protenderebbe per quello che sarebbe un grandissimo cambiamento (come la creazione di un nuovo Stato) se non avesse numerosi e solidi motivi per farlo. Molte delle regioni che ora rivendicano l’indipendenza hanno validissimi e numerosi motivi per farlo; eppure si osserva che nemmeno quelli sono sufficienti per un cambiamento dirompente ed immediato. Non ci si separa da uno Stato perché non si gradiscono i colori della sua bandiera.

Ci sarebbero moltissime altre variabili da analizzare, in primis quelle economiche di cui forse potrà sembrare che io ne abbia sottovalutato l’importanza: a parte il fatto che esse variano considerevolmente a seconda della rivendicazione considerata, in questo articolo il mio obiettivo era più quello di analizzare il significato storico del fenomeno indipendentista, troppo spesso propagandisticamente etichettato a priori come il sogno di qualche nostalgico retrogrado.
Per quanto mi riguarda, l’unico retrogrado è chi sostiene ancora che la Storia segua una specie di predestinazione calvinista la quale si dirige solo nel verso che egli vuole o che vede come unico possibile.

(Di Mattia Carli)"

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