giovedì 14 luglio 2016

Il Trono del Toro. Capitolo 13. Amasis incontra Pasifae ed entra nel "gioco del potere"




Amasis passeggiava lungo i viali dei giardini di Cnosso, accompagnato da alcuni schiavi corpulenti incaricati della sua sorveglianza.
Da quando era diventato il favorito di Catreus, la sua vita era in pericolo: doveva  far assaggiare prima ad altri i cibi e le bevande, non si poteva  muovere senza guardie del corpo e doveva sempre guardarsi le spalle da complotti e tradimenti.
Ora sono nel cuore del potere, anche se non sono stato io a desiderarlo
Catreus era stato gentile con lui, gli aveva reso tutto più sopportabile.
Erano gli altri che lo infastidivano: da quando era divenuto il favorito del re gli venivano richiesti continuamente favori, intercessioni, mediazioni, missioni diplomatiche.
La gente lo fermava, lo implorava, gli baciava l'anello a forma di toro che gli era stato donato dal re. Amasis ascoltava, cercava di distinguere le richieste di chi si trovava veramente in una condizione svantaggiata dalle pretese di chi voleva soltanto accrescere il proprio status sociale.

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Tutta la folla di parassiti che viveva a palazzo gli si era riversata addosso senza ritegno.
 E se non soddisfo le loro richieste mi creo un nemico giurato per sempre!
E poi c’era Indis, che ogni volta che lo incontrava si divertiva a schernirlo con appellativi derisori: «Ah, ecco la moglie di mio marito!» oppure «Ossequi alla dea Iside d’Egitto» e via di questo passo.
L’ultima volta gli era parsa però più seria e gli aveva detto in tono neutro:
 «Preparati a cadere in disgrazia. Lo sai che i favoriti alla lunga annoiano mio marito. C’è un bel posto di scriba che ti attende, magari nel palazzo di Festo, dall’altra parte dell’isola e dopo non sarai più costretto a dividere il letto con Catreus»
Amasis non desiderava altro, pur conoscendo i rischi.
Forse sarebbe una soluzione. Ma cadere in disgrazia è pericoloso… chi mi garantisce questo posto di scriba? E chi mi difenderà dalle vendette degli invidiosi?
Mentre era immerso in questi pensieri, si sentì salutare alle spalle.
Era Pasifae.



Il sangue gli si gelò nelle vene.
La Regina Reggente era vestita con una tunica da passeggio color malva e aveva il capo coperto con un velo azzurro. Era sola, forse per questo vestiva in modo dimesso ed era velata.
«Maestà» ricambiò il saluto Amasis con un inchino.
Pasifae era sempre bellissima e fresca come un’adolescente.
Quanto è seducente questa donna. E quanto è pericolosa!
E quando sorrideva in quel modo, il pericolo era ancora più grande.
«Allora, Amasis, come ti trovi nella reggia dei due Minosse?»
Lui, tenendo il capo reclinato con umiltà, rispose:
«Io sono solo uno schiavo»
Pasifae gli sorrise:
«Vedo che sai mantenere un basso profilo. Bravo. I tuoi predecessori nelle grazie di Catreus non hanno mai compreso questo concetto basilare, per questo alla fine hanno fallito»

«Diventare scriba non è un fallimento per uno schiavo» commentò Amasis
La Reggente fu molto compiaciuta dal tono delle risposte del giovane:
«Bene! Dunque non hai neppure ambizioni di potere!»
«No, i giochi di potere sono troppo difficili e mi spaventano»

Pasifae annuì e pronunciò una frase destinata a rimanere nella memoria del suo interlocutore per molto tempo::
«In effetti nel gioco del potere non c’è spazio per i dilettanti.
Quando si gioca al Gioco del Trono o si vince o si muore!
Non esistono terre di nessuno» e i suoi occhi celesti lo fissarono vagamente minacciosi, pulsando colori azzurrini nelle screziature , sopra un fondo color ghiaccio.



Pareva in preda a una febbre, ed era la febbre del potere.
Ma fu un attimo, poi gli chiese:
«E Indis come ti tratta
Amasis chinò il capo, e fu una risposta sufficiente.
Pasifae lo prese sottobraccio e lui si sentì venire la pelle d’oca.
«Indis non ha il diritto di deriderti. Non è certo colpa tua se sei qui. 
E comunque non ha nemmeno il diritto di ridere dell’amore che Catreus prova per te. L’amore non va mai deriso, né ostacolato. Non esistono peccati d’amore, ricordatelo, ma soltanto peccati contro l’amore»
Gli accarezzò i capelli.
Amasis fu percorso da un brivido di sorpresa e di piacere.
Si sarebbe volentieri abbandonato tra le braccia di quella donna così bella, ma i suoi doveri di schiavo venivano prima, per questo si scostò da lei.
Pasifae sospirò
«Catreus è veramente fortunato. E tu sei veramente abile nel gestire il tuo ruolo. Diventerai potente, ne sono certa. Spero solo che tu non sia mio avversario.
Mi dispiacerebbe doverti fare del male»

Amasis si schermì:
«La politica non m’interessa, Maestà»
Lei rise:
«Per ora! Ma col tempo ti interesserà sempre di più. Anch’io quando sbarcai qui, a quindici anni, e venni sposata con un vecchio che poteva essere mio nonno, non capivo nulla di politica. Ma da allora sono passati vent’anni e non c’è aspetto del governo e delle leggi del nostro Impero che io non conosca. Non sono una sciocca anatra come Indis, che sa solo starnazzare in modo isterico. 
Io rappresento il futuro di questo regno. Tienilo bene a mente, quando sarai diventato un uomo di potere»

«E’ forse una minaccia?» chiese Amasis
Pasifae sollevò le spalle:
«Diciamo che è un avvertimento, sì, un avvertimento da tenere sempre presente»

Detto ciò, la Reggente si coprì anche metà del viso col velo e se ne andò con la grazia leggiadra di una gatta.
Amasis rimase confuso. Il profumo di lavanda della regina lo aveva leggermente inebriato.
Cosa ha voluto dirmi veramente Pasifae? Voleva solo minacciarmi?O forse anche sedurmi?
Difficile rispondere.
Forse anche lei si era stancata del suo favorito Taron, divenuto ormai troppo potente.
La caduta di Taron potrebbe essere molto vicina.
Si ricordò la frase di Pasifae:
«Nel gioco del potere o si vince o si muore» e non voleva essere nei panni di Taron, se la Reggente aveva deciso di eliminarlo.
Eppure ha detto cose tanto giuste sull’amore! Possibile che in un cuore di ghiaccio come il suo possano albergare sentimenti e pensieri così nobili?
Sì che era possibile: nessuno è mai completamente cattivo o completamente buono. La persona oscilla tra il lato oscuro e il lato luminoso.
Pasifae ha ceduto al lato oscuro, ma c’è rimasto del buono in lei…


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Louis Antoine Léon de Saint-Just


Louis Antoine Léon de Richebourg de Saint-Just, più noto come Louis Antoine de Saint-Just (Decize25 agosto 1767 – Parigi28 luglio 1794), è stato un rivoluzionario e politico francese.
Nato dal cinquantaduenne Louis Jean, cavaliere dell'Ordine di San Luigi ed ex-maresciallo della gendarmeria, e dalla trentenne Marie Anne Robinot, figlia di un notaio, si trasferisce con la famiglia, ancor prima di compiere un anno, a Nampcel, nell'Oise e, il 16 ottobre 1776, nel piccolo paese diBlérancourt, dove il padre ha acquistato una casa; alla morte del padre, avvenuta l'8 settembre 1777, viene mandato a studiare nel collegio degli Oratoriani di Saint-Nicolas a Soissons.
Diplomatosi nel 1785, l'anno dopo ha una relazione con Thérèse Sigrade-Gellé, la figlia del notaio di Blérancourt, che nega il suo consenso alle nozze; sembra che questo rifiuto ed il successivo matrimonio della ragazza, sia stato la causa della sua partenza improvvisa, il 9 settembre 1786, per Parigi, dov'è arrestato il 6 ottobre a seguito della denuncia della madre alla quale aveva sottratto dell'argenteria.
Dopo una detenzione nella casa di Madame de Sainte-Colombe, nella rue de Picpus, il 7 marzo 1787 può ritornare a casa, presso la madre e le due sorelle, Louise e Marie Françoise, e s'impiega come praticante nello studio di un avvocato di Soissons. Nell'ottobre si iscrive alla facoltà di dirittodell'Università di Reims, dove si laurea in meno di un anno, il 15 aprile 1788.
Il 5 luglio del 1788Luigi XVI, la nobiltà e il clero, di fronte alla grave crisi finanziaria dello Stato francese e della pressione popolare, sono costretti a convocare gli Stati generali a Versailles; è l'inizio della caduta dell'ancien régime. Nel maggio 1789 Saint-Just pubblica a Parigi un poema in 20 canti, l'Organt, nella tradizione del libertinismo del secolo e privo di valore letterario - il famoso critico Sainte-Beuve lo definirà «un detestabile poema, passatempo di un giovane ozioso che ha letto La Pucelle» - ma che mostra caratteri tipici del suo pensiero, come il disprezzo per i tiranni, la monarchia, la nobiltà e il clero. L'opera viene subito sequestrata ma riapparirà nelle librerie nel 1792.
Scriverà ancora, nel 1790, una commedia in versi, l'Arlecchino-Diogene, mai rappresentata, e un libretto storico sul castello di Coucy.
La presa della Bastiglia e i successivi, immediati sviluppi rivoluzionari, lo vedono ancora a Blérancourt occuparsi della politica locale; il municipio provvede al sequestro del locale convento dei Foglianti e del castello. Il 3 giugno1790 viene nominato colonnello della Guardia nazionale e partecipa in tale veste alla Festa della Federazione del 14 luglio, che si tiene al Champ-de-Mars di Parigi.
Il 19 agosto scrive a Robespierre allegando una petizione che garantisca il mercato di bestiame di Blérancourt, minacciato di essere trasferito nella vicina città di Coucy: «A voi che difendete la patria ancora incerta di fronte alle forze del dispotismo [...] sostenete, per favore, la petizione [...] Non vi conosco di persona, ma so che siete un grande uomo. Infatti, voi non siete soltanto il deputato di una provincia, ma quello dell'umanità intera e della Repubblica [...]».

L'Esprit de la révolution


Montesquieu
Nel settembre inizia a scrivere l'Esprit de la révolution et de la Constitution de la France, pubblicato alla fine dell'anno seguente. Vi esprime più un'adesione allo spirito di Montesquieu che diRousseau, uno spirito molto più moderato di quanto non esprimerà negli anni cruciali del Terrore (IV, 9): «Per quanta venerazione m'imponga l'autorità di J. J. Rousseau, non ti perdono, o grand'uomo, di aver giustificato il diritto di morte; se il popolo non può trasmettere il diritto di sovranità, come potrà trasmettere i diritti sulla sua vita?»; e sulla presa della Bastiglia, esprime una fondamentale ispirazione di uomo d'ordine: per lui, il popolo, dopo i primi eccessi (I, 3) «ebbe un momento di moralità, sconfessò i delitti di cui aveva macchiato le proprie mani e fu alquanto felicemente ispirato, sia dal timore che dall'influsso dei buoni spiriti, a darsi dei capi e a obbedire».
Sui problemi sociali, si mostra favorevole al controllo delle industrie e a forti tassazioni dei redditi maggiori procurati dalle grandi proprietà, che giudica frutto dell'«avarizia» e nemiche dell'eguaglianza che deve sussistere in un'autentica Repubblica: «L'eguaglianza dipenderà soprattutto dalle imposte. Se saranno tali da ottenere che il ricco indolente abbandoni la sua vita oziosa per navigare o fondare un'industria, egli perderà di colpo l'alterigia che lo contraddistingue».
Il 20 giugno 1791 il re con la sua famiglia tenta di fuggire dalla Francia ma a Varennes-en-Argonne è riconosciuto, arrestato e riportato a Parigi. Il 23 agosto Saint-Just si presenta candidato alle elezioni dell'Assemblea legislativa ma non può essere eletto perché non ha ancora compiuto venticinque anni: viene eletto l'anno dopo, il 5 settembre, deputato alla Convenzione per il dipartimento dell'Aisne e il 18 settembre 1792 giunge a Parigi.

Deputato della Convenzione

Il discorso per il processo a Luigi XVI

La Convenzione, l'Assemblea che aveva preso il posto della Costituente e della Legislativa per dare una nuova Costituzione alla Francia, si riunì per la prima volta il 20 settembre 1792, il giorno stesso della vittoriosa battaglia diValmy. La Francia aveva respinto il primo attacco della coalizione dei vecchi regimi europei ma la lotta era tutt'altro che conclusa e all'interno era in corso un duro confronto fra la "destra" dei girondini, appoggiati dal centro, il "Marais", la Palude, e la "sinistra" della Montagna di Robespierre e dello stesso Saint-Just. L'insurrezione parigina del 10 agosto, abbattendo la monarchia, accusata di intelligenza con il nemico esterno, aveva posto il problema del processo a Luigi XVI, che la Gironda non voleva, temendo che l'inevitabile condanna avrebbe decisamente rafforzato i giacobini e la Comune di Parigi, il comitato insurrezionale che spingeva per una politica di radicale intransigenza repubblicana.

Luigi XVI
Proprio sul tema del processo il 13 novembre Saint-Just pronunciò il suo primo discorso alla Convenzione respingendo sia la tesi dell'inviolabilità del re che quella favorevole a processare Luigi XVI come un comune cittadino: per lui, il processo ha natura squisitamente politica: «Io dico che il re deve essere giudicato come un nemico, che dobbiamo combatterlo piuttosto che giudicarlo e che, non rientrando egli nel contratto che unisce i francesi, le forme della procedura non si trovano nella legge civile ma nella legge del diritto dei popoli [...] Gli uomini che stanno per giudicare Luigi hanno una repubblica da fondare: ma coloro che attribuiscono una qualche importanza alla giusta punizione di un re, non fonderanno mai una repubblica [...] cosa non temeranno da noi i buoni cittadini, vedendo la scure tremare nelle nostre mani, e vedendo un popolo che fin dal primo giorno della sua libertà rispetta il ricordo delle sue catene?».
Luigi XVI non può essere giudicato secondo le leggi in vigore, perché «i cittadini si legano fra di loro col contratto; il sovrano non si lega affatto [...] il patto è un contratto fra i cittadini, non con il governo; non si può rientrare in un contratto nel quale non ci si è impegnati. Di conseguenza Luigi, che non si era impegnato, non può essere giudicato come cittadino [...] quest'uomo deve regnare o morire [...] Processare il re come cittadino! Un'idea simile strabilierà la fredda posterità. Giudicare significa applicare la legge; una legge è un rapporto di giustizia; e che rapporto di giustizia ci può mai essere tra l'umanità e i re? Che cosa c'è in comune tra Luigi e il popolo francese, perché gli si usino dei riguardi dopo il suo tradimento? [...] Non si può regnare senza colpa. Ogni re è un ribelle e un usurpatore. Gli stessi re tratterebbero diversamente i loro pretesi usurpatori? [...] Cittadini, il tribunale che deve giudicare Luigi non è un tribunale giudiziario: è un consesso, è il popolo, siete voi: e le leggi che dobbiamo seguire sono quelle del diritto dei popoli [...] Luigi è uno straniero fra noi: non era cittadino prima del suo delitto, non poteva votare, non poteva portare le armi; lo è ancor meno dopo il suo delitto [...]».
E conclude: «Luigi ha combattuto il suo popolo ed è stato vinto. È un barbaro, uno straniero prigioniero di guerra [...] È l'assassino della Bastiglia, di Nancy, del Campo di Marte, di Tournay, delle Tuileries: quale nemico, quale straniero ci ha fatto più male di lui? Deve essere processato rapidamente: lo consigliano la saggezza e la sana politica; egli è una specie di ostaggio che i furfanti ci conservano. Si cerca di muovere a pietà, presto si compreranno le lacrime; si farà di tutto per renderci interessati, per corromperci, anche. Popolo, se il re sarà assolto, ricordati che noi non saremo più degni della tua fiducia e tu potrai accusarci di perfidia».
Profonda fu l'impressione del discorso di Saint-Just in tutti i settori dell'Assemblea: lo stesso girondino Brissot scrisse che «in questo discorso ci sono bagliori, un talento che può onorare la Francia».
La scoperta, in un armadio segreto alle Tuileries, dei documenti che dimostravano inequivocabilmente le trame di Luigi XVI con i nemici della Francia, fu decisiva: nel processo, iniziato l'11 dicembre 1792 di fronte alla Convenzione, i deputati si pronunciarono a maggioranza sulla pena di morte e il re, con enorme scandalo dei governi di tutta Europa, fu ghigliottinato il 21 gennaio 1793.

La crisi economica

Alla crisi economica, il Comitato finanziario cerca di far fronte con una continua emissione degli assegnati, che in meno di un anno arrivano a svalutarsi del 50%; il pane è caro, anche se il raccolto è stato buono, perché i contadini non intendono cambiare il grano con cartamoneta svalutata.
Nel suo discorso alla Convenzione del 29 novembre 1792 Saint-Just, che dal 15 novembre è membro della Commissione incaricata di redigere la nuova Costituzione e dal 24 novembre è presidente dei giacobini, difende la libertà di commercio: «la libertà nel commercio è madre dell'abbondanza, ma da dove vengono gli ostacoli a questa libertà? [...] Ciò che ha sconvolto in Francia il sistema del commercio dei grani dopo la rivoluzione è stata la sregolata emissione dei simboli monetari [...] Noi abbiamo molti simboli monetari ma pochissime cose [...] Un tempo il denaro era meno abbondante; ce n'era sempre una buona parte tesaurizzata e questo diminuiva ancora il prezzo delle cose [...] Oggi non si tesaurizza più, non abbiamo più oro; ma per uno Stato esso è necessario, altrimenti si ammassano o si accaparrano le derrate e il denaro perde sempre più valore. la penuria dei grani non deriva da altro. L'agricoltore, che non vuole riempirsi di cartamoneta, vende malvolentieri il suo grano».
Propone la vendita dei beni degli emigrati, il pagamento in natura dell'imposta fondiaria, la libera circolazione dei grani all'interno, il divieto della loro esportazione e la libertà di commercio senza restrizioni; la Convenzione approvò le sue proposte l'8 dicembre ma la crisi economica si aggravò.

La riorganizzazione dell'esercito

I successi militari francesi a Valmy e a Jemappes contro la coalizione austro-tedesca non sono decisivi e permangono i problemi della direzione delle operazioni militari e dell'organizzazione dell'esercito. Il 28 gennaio 1793 Saint-Just si oppone invano alla proposta di Sieyès di una riorganizzazione del Ministero della Guerra che di fatto concedeva troppo potere alle alte cariche militari e, il 12 febbraio, appoggia la proposta del deputato Dubois-Crancé di una riorganizzazione dell'esercito. Questo era allora costituito da reggimenti dell'ex esercito reale e da nuovi reggimenti di volontari, che godevano di una paga maggiore ed erano comandati da ufficiali eletti dai soldati. La proposta dell'"amalgama", ossia della ricostituzione dei reggimenti mediante la fusione di due battaglioni di volontari con uno di regolari a eguale paga, fu approvata dalla Convenzione il 24 febbraio 1793.
Intervenne più volte nelle discussioni sul progetto costituzionale, che fu approvato dalla Convenzione il 24 giugno 1793.
Saint-Just ebbe parte di primo piano nella difesa del territorio nazionale con le missioni svolte presso le armate del Reno (ottobre 1793) e del nord (gennaio 1794). Eletto presidente della Convenzione il 10 febbraio del 1794, si scagliò in maniera vigorosa contro Georges Danton e Jacques-René Hébert, entrambi condannati alla pena capitale.
Difensore coraggioso degli ideali repubblicani, nel giugno del 1794 fu presente come controllore inviato dal Comitato di salute pubblica alla battaglia di Fleurus, vinta dal generale Jean-Baptiste Jourdan contro l'alleanza della prima coalizione. Sostenitore di Robespierre anche durante il periodo del terrore, il 27 luglio tornò a Parigi tentando di salvare "l'incorruttibile" con un discorso conciliante tenuto davanti ai membri della Convenzione.
Poco dopo l'arresto dell'amico egli riuscì con una banda di partigiani a liberarlo, ma la soverchiante forza nemica lo costrinse ad arrendersi. Sconfitto militarmente e non più sostenuto dal popolo, il 28 luglio fu messo allaghigliottina insieme ad altri ventidue giacobini. Il corpo fu sepolto nel Cimitero degli Errancis.

Cultura di massa

Louis Antoine de Saint-Just è stato interpretato da Abel Gance nel film Napoleone, da lui diretto nel 1927, dagli attori Bogusław Linda nel film Danton (1983) e Christopher Thompson nella miniserie televisiva La rivoluzione francese (1989).

Opere di Saint-Just in edizione italiana

  • Terrore e libertà. Discorsi e rapporti, a cura di A. Soboul, Editori Riuniti, Roma, 1966
  • Frammenti sulle Istituzioni repubblicane, a cura di A. Soboul e con testo a fronte, Einaudi, Torino, 1975



Colori, emozioni e personalità: psicologia dei colori

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Emotions of Color:

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Tipi di colletti delle camicie

Albero genealogico della Famiglia Reale spagnola dal medioevo ad oggi

De Pelayo a Felipe VI - La Nueva España: