sabato 8 ottobre 2016

Come il pensiero globalista finanziario ha conquistato la Sinistra e l'egemonia culturale


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Prendiamo spunto dall'articolo di Claudio Napoli su "Azione Culturale"  http://www.azioneculturale.eu/2016/09/marxismo-culturale-teoria-critica-analisi-dellevoluzione-un-pensiero/ per ribadire un concetto che ancora molti elettori di sinistra non hanno compreso.

Scrive Claudio Napoli su "Azione Culturale";

"Cosa si intende con «Marxismo Culturale»? Quale è stata le genesi di questo concetto, la sua evoluzione nel secolo passato? Quali sono i suoi esiti nella nostra contemporaneità postmoderna, dove i termini antitetici di «destra» e «sinistra», che hanno dominato il pensiero politico occidentale dalla morte di Hegel sino al crollo dell’Unione Sovietica, hanno perso, oltre alla loro pregnanza ideologica, anche la loro elementare contrapposizione dialettica e, quindi, il loro motivo d’essere?

Rispondere a queste domande è fondamentale per dimostrare che il complesso di idee riconducibili al Marxismo Culturale, attualmente, non solo rinnega i suoi iniziali presupposti teorico-ideologici: esso tutela persino gli interessi delle forze neo-liberali atlantiste che hanno innescato la rovina del marxismo storico ed hanno sferrato colpi devastanti a quelle strutture di tutela ed ordine sociale, caratteristiche non solo delle economie nazionali dell’Europa occidentale prima dell’introduzione della valuta unica, ma anche, in larga parte, di tutte le economie comuniste e socialiste della seconda metà del secolo scorso.

Di regola, si ritiene che il termine «Marxismo Culturale» sia stato coniato nel 1973 da Trent Schroyer, nel suo lavoro «The Critique of Domination: the Origins and Development of Critical Theory». In questo studio, Schroyer critica le posizioni sociologiche della cosiddetta Scuola di Francoforte, ritenendole una fonte di «marxismo culturale», vale a dire di una cultura totalitaria di massa che vincola la coscienza individuale a modelli di pensiero sociale arbitrariamente sacralizzati da tale scuola, i cui «simulacri» sono entrati nel linguaggio comune con marchi come «multiculturalismo», «politicamente corretto», «omofobia» ed altro.

In realtà, le origini storiche e concettuali del Marxismo Culturale sono completamente differenti e vanno fatte risalire al 1919. Un anno tragico per l’ideologia marxista, che vede il fallimento della rivoluzione berlinese e di quella di Budapest. Questi insuccessi spinsero i teorici marxisti Antonio Gramsci e Georg Lukacs a rifletterne sulle cause.

Sebbene Gramsci e Lukacs avessero formulato le proprie ipotesi autonomamente l’uno dall’altro, le conclusioni  cui giunsero furono identiche: i rivoluzionari tedeschi ed ungheresi avevano perso poiché era loro venuto meno, nel momento decisivo, l’appoggio delle masse proletarie. E tale appoggio era venuto meno per un motivo semplicissimo: la psicologia operaia era ancora legata al sistema di valori culturali ed etici della società capitalista, di cui non comprendeva ancora l’estraneità e l’ostilità alla propria natura sociale.

Prima di una definitiva vittoria militare e politica sul capitalismo, era quindi necessario rieducare psicologicamente le masse proletarie e renderle consapevoli dei propri reali interessi di classe, tramite uninfiltrazione sistematica negli organi di potere, di informazione, di educazione ed attraverso l’eliminazione dei principi religiosi, culturali ed etici su cui si fondava l’ordine capitalista.

Di conseguenza, nella sua elaborazione iniziale, il Marxismo Culturale non è altro che una strategia di rieducazione formulata per i soli specifici bisogni della rivoluzione proletaria e svolge una funzione puramente transitoria e strumentale, inquadrata in un rigido progetto di lotta di classe; non ha nulla in comune con le caratteristiche anarchico-cosmopolite che ne avrebbero invece costituito i tratti distintivi (in base alla definizione di Schroyer) nella seconda metà del ventesimo secolo e nella spirale globalizzatrice avviata dopo l’11 settembre 2001.

Come fu possibile un’evoluzione così anomala? Il fattore che determinò la radicale modifica del «genoma» del Marxismo Culturale, adattandolo alle realtà post-belliche occidentali e snaturandone completamente l’essenza, va ricercato nell’attività della già menzionata «Scuola di Francoforte», composta da pensatori come Theodor Adorno, Max Horkheimer, Eric Fromm, Wilhelm Reich ed Herbert Marcuse.

La «Scuola» venne fondata nel 1923 come «Istituto di ricerche sociali» nella città da cui prese il nome, ma raggiunse il suo picco di influenza negli USA (dove i suoi maggiori esponenti -quasi tutti di origine ebraica- avevano trovato rifugio dopo l’ascesa del nazismo in Germania) tramite lo sviluppo della «Teoria Critica».

La Teoria Critica si distanziò dal Marxismo Culturale originario in diversi punti di frattura. Il primo punto corrisponde alla convinzione secondo cui la cultura, contrariamente a quanto sostenevano Marx e i primi teorici del Marxismo Culturale, non era una semplice sovrastruttura della società capitalistica, ma un suo campo autonomo e strutturale.

In tal maniera la «Scuola», pur mutuando da Gramsci e soprattutto da Lukacs (da cui fu sempre fortemente influenzata, essendone stato uno dei padri fondatori) l’attitudine aggressiva verso la cultura occidentale, ne assolutizzò drammaticamente lo spettro d’azione, rivolgendolo non più solo contro quegli aspetti che avevano favorito l’affermarsi della borghesia e del capitalismo, ma contro lo stesso concetto di civiltà europea in sé: l’organica evoluzione millenaria di tale civiltà aveva avuto come sua conclusione logica la comparsa del nazismo e la tragedia del secondo conflitto mondiale.

Per la creazione di una nuova umanità e di un nuovo ordine, essa doveva essere completamente annientata. Come raggiungere un simile scopo? La soluzione venne proposta da Herbert Marcuse a partire dagli anni ’50: in un vago, forse inconscio richiamo alle teorie di Nietzsche, Marcuse consiglia di utilizzare il ressentiment dello «schiavo».

Vale a dire, la cultura occidentale -di regola patriarcale, gerarchica, orientata verso il patriottismo e la sovranità nazionale- deve essere scardinata da forze ad essa interne, ma da sempre discriminate e sottovalutate: le donne, gli omosessuali, gli allogeni di origine non europea, gli studenti.

Da questo progetto viene esclusa la classe operaia: secondo Marcuse, la psicologia operaia non può essere modificata, poiché in Occidente i proletari non aspirano ad altro che a divenire borghesi; il ruolo da essi svolto nell’ascesa del nazismo li ha discreditati completamente e li ha privati del diritto di essere forza attiva nella nuova rivoluzione. Questo secondo termine di frattura indica un tradimento gravissimo della causa marxista ed un reale punto di non ritorno.

Da questo momento la Teoria Critica della Scuola di Francoforte diviene l’assoluta negazione del vero Marxismo Culturale ortodosso, poiché ne delegittima gli scopi e i cardini ideologici ineludibili.

Ed in effetti: nell’idealizzazione del matriarcato (sino alle più ostili estremizzazioni femministe), nella creazione controllata, in Europa e negli USA, di mescolanze etniche dove far predominare fenotipi non caucasici (in altri termini, un genocidio vellutato dell’uomo «bianco», colpevole di aver ideato il nazismo e il fascismo); nella svalutazione di ogni tipo di educazione improntata a modelli di autorità morale e, soprattutto, nel negare ai proletari ogni funzione ed ogni valore nelle nuove dinamiche eversive -insomma, nelle sub-teorie derivate dai postulati fondamentali della «Scuola»- Gramsci e Lukacs avrebbero senz’altro visto, nel migliore dei casi, delle esecrabili derive trotzkiste. Nel peggiore, inammissibili aberrazioni etico-intellettuali di una borghesia occidentale alienata, dove «compagni» universitari di famiglie ricche e borghesi picchiano proletari divenuti poliziotti per sopravvivere.

Ora, il Marxismo Culturale e la Teoria Critica rimangono affini solo nella pars destruens: annullamento di una tradizione culturale ostile e modellamento di un nuovo pensiero sociale di massa tramite accorti metodi di infiltrazione poco visibili all’opinione pubblica, ma inflessibilmente ramificati e capillarizzati. Nella pars construens, la Teoria Critica, a differenza del Marxismo Culturale, mostra invece un grave difetto di sistema che consiste nella completa assenza di un reale vettore teleologico.

Mentre, infatti, il Marxismo Culturale realizza la propria attività di «ingegneria sociale» tramite e verso un gruppo monolitico (la classe proletaria) per il raggiungimento di uno scopo assolutamente concreto (la vittoria del marxismo e della rivoluzione comunista), la Teoria Critica, in virtù delle proprie scelte metodologiche, si trova costretta ad operare attraverso elementi eterogenei, senza istanze sociali comuni (a parte il già menzionato rancore per la cultura dominante), con un sentimento di appartenenza di classe tendenzialmente inesistente, per il raggiungimento di un nuovo sistema dai contorni estremamente ambigui e confusi.

Vale a dire: l’insufficiente assertività nel definire gli scopi effettivi da perseguire, ha posto la Teoria Critica nella necessità di delegare la realizzazione della pars construens, del proprio programma, a terzi fattori che fossero stati in grado di dare una pur minima coesione strategica e concettuale al caotico materiale eversivo proposto. Questa debolezza strutturale ha, potenzialmente, reso la Teoria Critica facile preda di forze sociali estranee ed ostili allo stesso contesto ideologico marxista da cui essa era originariamente sorta. Cosa che si è puntualmente verificata nella realtà storica: il progetto rivoluzionario della «Scuola» è stato ripreso, patrocinato e promosso dai gruppi neoliberali della finanza globale.

Un simile esito è illogico solo in apparenza. In realtà, è profondamente coerente per una serie di ragioni:

1) la Teoria Critica esclude dal nuovo ordine la classe operaia e la classe media occidentale, vale a dire, quegli elementi produttivi della società che la finanza globale, interessata ad avere una forza-lavoro essenzialmente gratuita e priva di diritti, ha sempre visto come naturali antagonisti storici, e le sostituisce con una massa allogena estremamente controllabile e male organizzata;

2) la disunità dei fattori sociali eversivi proposti dalla Teoria Critica li rende strumentalizzabili e dipendenti dal «committente», col solo obbligo per quest’ultimo di conferire loro un prestigio sociale fittizio;

3) l’assenza di un reale vettore teleologico in cui inquadrare il nuovo ordine e l’accentuazione del messaggio di completo affrancamento degli elementi eversivi da ogni tradizionale ordine costituito, permettono al «committente» di creare un caos storico-sociale da utilizzare esclusivamente per i propri scopi (creazione di un proprio nuovo ordine, ironicamente molto più autoritario e livellatore degli ordini tradizionali eliminati);

4) la segretezza delle azioni di condizionamento, riduce esponenzialmente i costi che sarebbero derivati da un confronto diretto con le strutture da influenzare e successivamente eliminare e, allo stesso tempo, assicura un effetto devastante su tali strutture grazie agli strumenti di propaganda indiretta (mezzi di informazione, istruzione universitaria, apparati think-tanks, NGO, industria dell’intrattenimento ecc.) a completa disposizione del «committente» e capillarmente diffusi nei tessuti socio-statali infiltrati.

Sia chiaro: lo schema eversivo della «Scuola», nella sua contemporanea degenerazione globalista, non ha alcuna attinenza alle dinamiche tecniche con cui l’elite bancaria sta delegittimando la sovranità monetaria e politica delle Nazioni. Non è questa la sua funzione.

La Teoria Critica opera esclusivamente sul fattore umano, ed in questo bisogna rendere omaggio alla lungimiranza strategica dei neoliberali: nonostante la sua discutibilità, l’esperimento di ingegneria sociale della Teoria Critica sta avendo infatti un impatto eccezionale nel paralizzare prima, spezzare poi, l’opposizione psicologica del nucleo irrinunciabile delle Nazioni fagocitate -l’uomo europeo. Uomo nel senso di vir, mas, unico reale creatore della civiltà europea grazie alla sua autonomia intellettuale, operosità, creatività, insofferenza ad influenze esterne ed estranee.

La ginecocrazia feroce imposta nelle università (soprattutto nel settore umanistico), i messaggi trasmessi dall’industria dell’intrattenimento e nel campo giudiziario, hanno convinto il vir europeo della propria inconsistenza fisica, intellettuale, morale, giuridica. Il tema gender lo ha convinto dell’inconsistenza della dignità conferita al suo sesso dalla Natura. Il caos seguito alle migrazioni provocate dalle guerre colonialiste della finanza globale, lo ha convinto dell’inconsistenza politica delle Nazioni in cui vive.

La svalutazione e l’anarchizzazione dell’istruzione tradizionale, incentrata sul rispetto gerarchico e sullo studio attento della cultura nazionale, lo hanno convinto dell’inutilità di combattere per la rinascita della propria Nazione, poiché tale istruzione ha prodotto una generazione di politici, docenti universitari, legislatori, economisti, ed intellettuali che ha venduto l’autonomia delle rispettive Nazioni per potere e profitto (la celebre generazione del ’68, insomma), e sta producendo generazioni prive della preparazione e della disciplina necessarie a riacquistare la propria libertà

Ma si stanno toccando ormai argomenti non contemplati negli scopi fissati per il presente articolo, dove ho avuto intenzione di dimostrare un solo fatto: ritenere che il piano di propaganda totalitaria in atto abbia ancora qualcosa del Marxismo Culturale originario ed indica una completa ignoranza della complessa evoluzione di questo concetto."

(di Claudio Napoli, su Azione Culturale, http://www.azioneculturale.eu/2016/09/marxismo-culturale-teoria-critica-analisi-dellevoluzione-un-pensiero/)


Questo analisi molto lucida ed efficace, coglie alcuni punti essenziali che è bene ribadire e approfondire.

Innanzi tutto bisogna prendere atto che il termine "Marxismo culturale" ha assunto un significato ambiguo, nel senso che oggi viene scambiato con gli esiti della Teoria Critica, elaborata dalla Scuola di Francoforte e divenuta poi egemone all'interno dell'intellighenzia di sinistra che ha assunto il controllo di gran parte elle università occidentali e ha contribuito a formare la visione del mondo della maggioranza degli studenti delle ultime generazioni, che sono divenuti poi giornalisti, magistrati, insegnanti, intellettuali e personaggi del mondo dello spettacolo (categorie, queste ultime, che si sono quasi fuse insieme, nell'ultimo quindicennio).

Se è vero, infatti, che la storia ha visto affermarsi l'idea gramsciana secondo cui il marxismo, per raggiungere i suoi obiettivi politici, doveva prima conquistare l'"egemonia culturale" e occupare i settori dell'educazione, della comunicazione e della magistratura, è vero anche che il tipo di marxismo che alla fine si è imposto culturalmente non era affatto quello a cui Gramsci faceva riferimento, e anzi era qualcosa che aveva ben poco a che fare col pensiero marxiano e con le sue prime interpretazioni.

Giustamente l'articolo citato, riferendosi alla Scuola di Francoforte e in particolare a Marcuse, nota che gli interlocutori privilegiati della "nuova sinistra" non siano più i proletari, quanto piuttosto un insieme trasversale di categorie sociali unite da un  comune e forte "risentimento" nei confronti di alcuni pilastri della tradizione occidentale.

Si viene così a creare quella che Harold Bloom, identificando i nemici del Canone Occidentale, chiamò "cultura del risentimento", la quale che comprende le correnti di pensiero elaborate dalle categorie sociali che si sentivano emarginate dalla società patriarcale e dall'egemonia europea.

Negli anni Sessanta e Settanta incominciò il divorzio tra la sinistra intellettuale e il proletariato; secondo la Scuola di Francoforte e l'esistenzialismo di sinistra, il soggetto rivoluzionario non era più il proletario, ma lo studente, e il nemico da abbattere non era più la borghesia, ma la tradizione patriarcale e il principio di autorità nella famiglia, nella scuola e nelle organizzazioni sociali e politiche.

La Contestazione studentesca del periodo 1968-1977 ebbe come bersaglio l'autorità del padre di famiglia, del professore e ogni forma di gerarchia sociale, con effetti di crescente lassismo e disorganizzazione di cui ancora oggi scontiamo le conseguenze.

Furono quegli studenti, laureatisi con grande facilità in un momento in cui i voti universitari venivano estorti con le minacce, a prendere poi il potere nei vari settori previsti dall'egemonia culturale e cioè sistema educativo, sistema informativo e sistema giudiziario.

In apparenza poteva sembrare una vittoria del gramscismo, in quanto la sinistra aveva effettivamente preso il potere nei settori chiave della società, ma, attenzione: non si trattava della sinistra marxista nazional-popolare di cui parlavano Gramsci e Lukacs, bensì della Nuova Sinstra, emersa dalla fusione del pensiero di Marcuse (e della Scuola di Francoforte), con quello dell'intellighenzia francese sia esistenzialista (Sartre), che strutturalista (Barthes, Levy-Strauss, Braudel, Lacan, Althusser, Genette), che post-strutturalista (Foucault, Deleuze, Derrida e i Nuveau Philosophes alla Bernard-Henry Levy).In questo filone si inserirono i filoni della Neoavanguardia (rappresentata in Italia dal Gruppo '63) e i filoni anglosassoni e statunitensi dei Gender Studies (concentrati sui temi del femminismo e dell'omosessualità) e delle Letterature Comparate (estendendo il canone letterario alle culture extraeuropee e delle minoranze etniche).

Dopo la rivolta mondiale del Sessantotto, la nuova sinistra viene progressivamente inglobata nella teoria. 
È in questo mutato scenario che si motiva il crescente interesse di Marcuse per movimenti e tradizioni estranei a quella operaia come l’ambientalismo e, soprattutto, il femminismo radicale. 
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Questa Nuova Sinistra era di tipo "liberal", con istante particolari come il femminismo, la lotta per i diritti della comunità LGBT, la scoperta delle culture extraeuropee, i temi ecologisti, ambientalisti e animalisti.

Il ruolo centrale che la nuova sinistra aveva avuto nella critica della società dell’ultimo Marcuse. Quei movimenti – studenti, minoranze razziali, controculture, lotte anticoloniali – erano i principali protagonisti dello «sfondamento» della stabilizzazione geopolitica del secondo dopoguerra che, soprattutto dopo il Sessantotto, aveva inaugurato una nuova fase storica con molti tratti simili all’epoca attuale. Si sottolineava inoltre come quello sfondamento costituisse per Marcuse anche una sfida e uno stimolo – non senza «imbarazzi» e lacerazioni anche sul piano dei rapporti personali – ad avventurarsi oltre i sentieri consolidati e i presupposti impliciti della «teoria critica» della Scuola di Francoforte.

Ciò che però nessuno aveva messo in conto, era il fatto che il pensiero neoliberale globalista potesse insinuarsi all'interno della Nuova Sinistra, facendo leva su alcuni temi comuni.

I neoliberali globalisti (amici della finanza internazionale) hanno accolto pienamente le rivendicazioni femministe, e in gran parte quelle della comunità LGBT, nonché, almeno in apparenza, le istanze ambientaliste e terzomondiste.
Ma soprattutto hanno fatto passare per appoggio alla società multietnica e al melting pot, quella che in realtà si presenta come una vera tratta di schiavi, volta ad abbassare il costo del lavoro.

Così oggi assistiamo paradossalmente al fatto che l'elite finanziaria globalista e la Nuova Sinistra la pensano allo stesso modo su quasi tutti i temi principali, il che è sconvolgente e non può che significare un inganno da parte del Grande Capitale nei confronti di tutti gli altri.

«Le Grand Remplacement», la grande sostituzione dei popoli.

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Read more at http://www.ilprimatonazionale.it/economia/fondo-monetario-tifa-grande-sostituzione-immigrati-utili-invecchiamento-popolazione-50673/#A3bVbZLWT24mqV6T.99


"Perché ricorrere alla teoria del complotto quando è tutto così palesemente sotto i nostri occhi? Vale per i danni dell’euro, vale per il suicidio politico ed economico dell’Unione Europea ed anche per la sostituzione di popolo in corso. E a dircelo chiaro e tondo è niente meno che il Fondo monetario internazionale.
In un documento nel quale si criticano le politiche di eccessiva austerity, spiegano dall’Fmi, “Il Patto di Stabilità e Crescita dovrebbe consentire un marginale allentamento dei target di bilancio per contemplare i costi dei rifugiati nel breve termine”. Costi che sono esplosi negli ultimi tempi, fino a superare abbondantemente – almeno per l’Italia – il miliardo di euro l’anno. Tanto che, sottolineano sempre dal Fondo monetario, le spese per gli immigrati potranno arrivare fino allo 0,2% del Pil per quelle nazioni più esposte sulla crisi: Austria, Germania, Finlandia e Svezia. Una cifra di tutto rispetto, ma che secondo i tecnici dell’ente rappresenta quasi un investimento.
Secondo i tecnici dell’ente guidato da Christine Lagarde, infatti, i flussi migratori possono aiutare i conti pubblici, “soprattutto nei paesi alle prese con l’invecchiamento della popolazione”. Lo 0,2% del Pil della Germania, per inciso, sono quasi 70 miliardi di dollari, grazie ai quali altro che problema di invecchiamento, caso mai – con politiche mirate al contrasto della denatalità – si rischierebbe perfino il problema opposto. Una soluzione forse troppo impegnativa per i dirigenti dell’Fmi, che valutano più comodo trasferire centinaia di milioni di persone da un posto all’altro con il risultato di depauperare il primo e sostituire tout court il popolo del secondo. Il tutto con la scusa della recessione, dato che i richiedenti asilo “posso stabilizzare il mercato del lavoro e avere un impatto positivo sulla crescita”. Rifugiati o sedicenti tali considerati alla stregua di un fattore produttivo, mancando peraltro totalmente il bersaglio: la crisi economica europa è una crisi di domanda, per cui affrontarla con modifiche dal lato dell’offerta (nuova forza lavoro, dumping salariale, riforme al patto di stabilità) è inutile e, visti i miliardi investiti, persino controproducente. D’altronde, gli ottimi risultati ottenuti dal Fondo monetario – insieme a Ue e Bce – nella gestione della crisi greca parlano già da soli."
Filippo Burla

http://www.imolaoggi.it/2016/09/22/sostituzione-etnica-la-svezia-che-non-esiste-piu/

La Swedish Organizzazione “IM” (Individuell Människohjälp), una ONG globalista con obiettivi comparabili a quelli della “‘Open Society Foundation” di George Soros , ha rilasciato un nuovo video che promuove apertamente e celebra il genocidio e la sostituzione etnica degli svedesi nel loro stesso paese. Nella pubblicità agghiacciante, che sembra arrivare dritta una da distopico film di fantascienza, ai cittadini svedesi viene detto di accettare il “cambiamento irreversibile” del loro paese e viene richiesto di integrarsi nel “nuovo paese” plasmato da un’immigrazione di massa senza restrizioni dai paesi del terzo mondo.
La scena di apertura dice tutto: “Non si può tornare indietro – La Svezia non sarà mai piu’ quella di una volta”. Accompagnato da una musica rilassante, l’annuncio promuove essenzialmente il genocidio etnico degli svedesi affermando che i “vecchi svedesi ” devono fare posto a “una nuova generazione di svedesi”, frase che è una diretta violazione della Convenzione sul genocidio delle Nazioni Unite del 1948, l’articolo II:
Il genocidio è definito come:
… Uno qualsiasi dei seguenti atti commessi nell’intento di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso, come tale:
(C) sottoporre deliberatamente il gruppo a condizioni di vita intese a provocare la sua distruzione fisica, totale o parziale;
(D) misure miranti a prevenire le nascite all’interno del gruppo;
(E) trasferimento forzato di fanciulli da un gruppo ad un altro gruppo.
Gli svedesi nativi presumibilmente devono imparare a “integrarsi” in “The New Country (nel nuovo paese)”, vale a dire un’utopia multiculturale.
Gli Svedesi etnici non hanno più il diritto di rivendicare che sono svedesi, secondo l’annuncio. Tutti nel mondo possono essere svedesi, “non importa il luogo di nascita, non importa la razza”.
Questo è in diretta violazione dei punti 1, 2, 4, 7 e 9 se 12 dei “12 modi per nascondere un genocidio“, come specificato da Genocide Watch presso il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti:
1. Mettere in dubbio e ridurre al minimo le statistiche.
Centinaia di migliaia di giovani, africani e arabi maschi si sono riversati in un piccolo paese di soli 8 milioni di abitanti, alterando gravemente il rapporto femmine-maschio nei gruppi di età più giovane. Ovviamente questo non è nulla di cui preoccuparsi, in quanto aumenta solo la “diversità”.
2. Attaccare le motivazioni di chi dice la verità.
Chiunque menziona il genocidio etnico degli svedesi viene accusato di essere razzista, xenofobo, islamofobo sessista e nazista che diffonde espressioni di odio.
4. sottolineare l’estraneità delle vittime.
I bianchi sono responsabili della maggior parte del male del mondo. La civiltà occidentale è la ragione della disuguaglianza e di tutte le cose orribili che accadono in tutto il mondo. L’immigrazione di massa e la loro estinzione è la loro redenzione.
7. Evitare di inimicarsi gli autori dei genocidi
Chiunque  menzioni le ONG come la Open Society Foundations e i loro finanziatori principalmente ebrei come George Soros è un razzista anti-semita.
8. giustificare il rifiuto a favore degli interessi economici attuali.
L’immigrazione di massa  è l’unica soluzione alla crisi demografica. Bassi tassi di natalità degli svedesi etnici possono essere compensati attraverso l’immigrazione di massa.
9. sostenere che le vittime stanno ricevendo un buon trattamento,
La Svezia è un paese ricco! Nessuno sta dicendo che non ci possono essere ancora alcuni svedesi etnici! Gli Svedesi possono ancora essere svedesi, ma devono adattarsi alle nuove tradizioni musulmane!
10. rivendicazione che quel che accade non puo’ essere definito genocidio.
E’ il punto più importante. Chiunque menzioni la violazione della Convenzione sul genocidio delle Nazioni Unite viene ritenuto un teorico della cospirazione.
11. Colpa delle vittime.
Gli svedesi sono razzisti, responsabili per la schiavitù, opprimono le minoranze, sfruttano i lavoratori del 3° mondo e non sono abbastanza tolleranti. La loro cultura è razzista e odiosa. Essi meritano di essere sostituiti.
12. affermare che la pace e la riconciliazione sono più importanti che incolpare le persone per genocidio
Aiutare le persone bisognose è più importante! La pace mondiale può essere raggiunta solo quando i popoli europei saranno sostituiti da un mix multiculturale, privo delle rispettive identità nazionali.
Secondo l’annuncio, il pezzo di terra chiamato “Svezia” è semplicemente uno “spazio sicuro per le persone in cerca di rifugio” (sic!).
Poiché i “vecchi svedesi” sono in via di estinzione a causa di bassi tassi di natalità e le famiglie fuggono da quella nave che affonda che è la Svezia socialista, gli svedesi etnici rimanenti devono essere “tolleranti” e imparare a “convivere” con la visione della futura Svezia – abitata interamente da immigrati del 3° mondo.
Campagne pubblicitarie di manipolazione, che dicono che i nativi dei paesi europei devono accettare i costumi dei migranti, non sono una novità. Alla TV tedesca, gli annunci che incoraggiano le giovani ragazze tedesche a indossare l’hijab sono solo un assaggio della follia dei media di Stato controllati.

Uno dei principali fautori della "sostituzione dei popoli" è il finanziere George Soros.

Ho già accennato a qualcuna delle peculiarità psicologiche di Soros; come i suoi modi narcisisti quando sembra assumere un tono regale e dice “noi”. Atteggiamento che stabilisce bene le distanze quando parla de “Il nostro fallimento collettivo nello sviluppare e attuare politiche efficaci”. Se vuol farci credere che parla come governo, dobbiamo ricordarci che Soros non è mai stato eletto in nessuna nazione.

Ma questo non gli impedisce, tuttavia, di immischiarsi nei nostri affari interni e dare il proprio sostegno a insurrezioni, come le cosiddette rivoluzioni colorate,  in Georgia e Ucraina, o alimentare il caos con il  BLM negli Stati Uniti.

Come si sa ha anche attaccato la sterlina inglese, guadagnandoci un miliardo di dollari.

Soros vuole far sentire il lettore dalla sua parte usando il  “noi”. Ma NOI non siamo inclusi (nel suo mondo); stiamo semplicemente ascoltando quello che ci dice dovrà succedere.

Poi scrive dei “benefici provati  che potrebbe portare una maggior integrazione”. Questo è quasi un enigma di retorica; lui ed i suoi avvocati si aspettano – non senza ragione – che la maggior parte dei lettori interpreteranno, secondo le proprie ragioni, quello che viene scritto. Parla di prova, ma non dà nessuna prova di quello che dice – e questa è una grave omissione,  visto che ci si aspetta che tutto il nostro futuro culturale ed economico si basi sulle sue sole affermazioni.

Molti paesi, tra cui il Giappone, la Cina, UAE, Israele e Singapore, sono estremamente attenti nel concedere la cittadinanza. Se i benefici di cui parla Soros fossero “provati”, sicuramente, anche questi paesi sarebbero dalla sua parte

http://www.complottisti.com/soros-la-migrazione-forzata-fara-strage-europei/?utm_content=buffer80b63&utm_medium=social&utm_source=facebook.com&utm_campaign=buffer.

Albero genealogico della famiglia reale Saudita

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La dinastia Saudita (in araboآل سعود‎, Āl Saʿūd) istituita dal Sultano del Najd ʿAbd al-ʿAziz Āl Saʿūd - governa dal 1926 il Regno Arabo Saudita, nato dopo la vittoriosa annessione al Sultanato del Regno hascemita del Hijaz.


Definizione e poteri

Il re dell'Arabia Saudita è il capo di stato e il monarca del regno asiatico. È anche il capo della famiglia saudita. I monarchi che si sono succeduti dopo la morte del fondatore, sono tutti suoi figli, in ottemperanza alla legge araba mai scritta del "seniorato", che prevede che alla successione di un'istituzione sia chiamato il componente più anziano della famiglia.

Tabella genealogica della Dinastia Saudita
In Arabia Saudita il re è conosciuto con il titolo di Custode delle Due Sacre Moschee (in araboخادم الحرمين الشريفين‎, Khādim al-Ḥaramayn al-Sharīfayn), cioè del Masjid al-Haram (Sacra Moschea) della Mecca e del Masjid al-Nabawi (Moschea del Profeta) a Medina.
La successione al trono saudita è regolata dall'antica legge del "seniorato": un'assemblea familiare decide l'erede dalla generazione del predecessore o da quella immediatamente successiva, privilegiando non tanto il figlio d'un sovrano deceduto, quanto il più anziano appartenente alla famiglia. La linea di successione non è quindi mai decisa prima dell'ascesa al trono del principe ereditario.

Storia

La storia dell'odierna Arabia Saudita inizia pressappoco nel 1446-1447, quando il clan del Murdah si stabilì nella penisola arabica, prosegue con la fondazione prima dell'Emirato di Dirʿiyya (1744), poi con quello di Najd (1818), ed infine con la fondazione del Regno dell'Arabia Saudita (1932).

Origini e primi secoli

Il primo antenato della dinastia saudita di cui si ha notizia è Māniʿ ibn Rabīʿa al-Muraydī che si stabilì a Diriyya nel 1446–1447 con il suo clan, i Mrudah.[1] Anche se i Mrudah erano considerati discendenti dalla confederazione tribale dei Rabīʿa, non è chiaro se traccino la loro discendenza al ramo dei Banū Ḥanīfa o dei Banū ʿAnaza.[1] Māniʿ fu invitato da un parente di nome Ibn Dir, che governava una serie di villaggi e proprietà che costituiscono la moderna Riyad.[2][3][4] Il clan di Māniʿ risiedette in Arabia orientale, vicino ad al-Qaṭīf, anche se non è chiaro da quale data. Ibn Dir diede a Māniʿ due proprietà: al-Mulaybid e Ghusayba. Māniʿ e la sua famiglia si insediarono e chiamarono la regione “al-Diriyya”, dal nome del loro benefattore Ibn Dir.[5][6]
I Mrudah divennero sovrani di al-Diriyya, che prosperò tra i corsi d'acqua nella Wadi Hanifa e divenne un importante insediamento nel Najd. Con la crescita del clan iniziarono le lotte per il potere, ed uno dei due rami della famiglia partì per Dhruma, mentre un altro (gli “Āl Watban”) partì per la città di al-Zubayr nell'Iraq meridionale. La famiglia degli Āl Muqrin (dal nome di un certo shaykh Saʿūd ibn Muḥammad ibn Muqrin, che morì nel 1725)[7]divenne quindi sovrana tra i Mrudah di Diriyya.

Emirato di Dirʿiyya (o Primo Stato saudita)

Exquisite-kfind.pngLo stesso argomento in dettaglio: Emirato di Dirʿiyya.
Bandiera dell'Emirato di Dirʿiyya
Bandiera dell'Emirato di Dirʿiyya
Il Primo Stato saudita venne fondato nel 1744. Questo periodo fu segnato dalla conquista delle aree circostanti e dello zelo religioso. Alla sua massima estensione il Primo Stato saudita includeva la maggior parte dell'odierna Arabia Saudita, ed incursioni da parte di seguaci ed alleati dei sauditi toccarono lo Yemen, l'Oman, la Siria e l'Iraq. Si ritiene che studiosi islamici, in particolare Muḥammad ibn ʿAbd al-Wahhāb e i suoi discendenti, abbiano avuto un'importante influenza sul governo saudita di questo periodo. I sauditi e i loro alleati si riferivano a loro stessi come Muwaḥḥidūn o Ahl al-Tawḥīd (“i monoteisti”), mentre più tardi vennero chiamati wahhabiti (dal nome del fondatore), un gruppo di sunniti particolarmente zelanti.
Il potere della dinastia in questo periodo passò da padre in figlio senza incidenti. Al primo Imam, Muhammad ibn Sa'ud, succedette suo figlio maggiore ʿAbd al-ʿAzīz b. Muḥammad b. Saʿūd (Abdulaziz) nel 1765. Quest'ultimo, nel 1802, guidò diecimila soldati wahhabiti in un attacco alla città santa sciita di Kerbelāʾ, nell'odierno Iraq meridionale, nonché il luogo in cui al-Ḥusayn b. ʿAlī (Hussein ibn Ali), nipote di Maometto e terzo Imam sciita, fu ucciso.[8] Guidati da ʿAbd al-ʿAzīz, i soldati uccisero più di duemila persone, inclusi donne e bambini.[8] I soldati poi saccheggiarono la città, demolendo l'imponente cupola dorata sopra la tomba di al-Ḥusayn e caricando centinaia di dromedari con armi, gioielli, monete e altri beni di valore.[8]
L'attacco a Kerbelāʾ convinse ottomani ed egiziani che i sauditi erano una minaccia alla pace regionale.[9] ʿAbd al-ʿAzīz venne ucciso nel 1803, secondo alcuni da uno sciita che cercava vendetta per il sacco di Kerbelāʾ dell'anno prima. Ad ʿAbd al-ʿAzīz succedette suo figlio Saʿūd, sotto il quale lo stato saudita raggiunse la sua massima estensione. Quando Saʿūd morì nel 1814, suo figlio e successore ʿAbd Allāh doveva affrontare un'invasione ottomano-egiziana lanciata con lo scopo di recuperare il territorio ottomano perduto. Le truppe, soprattutto egiziane, riuscirono a sconfiggere ʿAbd Allāh, prendendo la capitale Dirʿiyya nel 1818. ʿAbd Allāh venne fatto prigioniero e poco dopo decapitato dagli Ottomani a Istanbul, che misero così fine all'Emirato di Dirʿiyya. Gli egiziani mandarono prigionieri a Istanbul e in Egitto molti membri del clan saudita, assieme ad altri appartenenti alla nobiltà locale e rasero al suolo la capitale Dirʿiyya.

Emirato del Najd (o Secondo Stato saudita)

Exquisite-kfind.pngLo stesso argomento in dettaglio: Emirato di Najd.
Bandiera dell'Emirato di Najd
Bandiera dell'Emirato di Najd
Nel 1818, alcuni anni dopo la caduta di Dirʿiyya, i sauditi riuscirono a ristabilire la loro autorità nel Najd, fondando quello che è conosciuto come l'Emirato del Najd, o Secondo Stato Saudita, con capitale Riyad.
Rispetto all'Emirato di Dirʿiyya, l'Emirato del Najd fu segnato da una minore espansione territoriale (non riconquistarono né Hegiaz né 'Asir, ad esempio) e minor zelo religioso, sebbene i governanti sauditi continuassero ad usare il titolo di Imam e ad avvalersi di studiosi salafiti. Il Secondo Stato venne anche segnato da gravi conflitti interni alla famiglia saudita, che portarono poi alla caduta della dinastia. La successione accadde sempre per assassinio o guerra civile; l'unica eccezione fu la successione da Fayṣal b. Turkī al figlio ʿAbd Allāh b. Fayṣal b. Turkī.
Il primo saudita a tentare di riprendere il potere dopo la caduta di Dirʿiyya fu Mishārī ibn Saʿūd, un fratello dell'ultimo sovrano di Dirʿiyya. Nel 1824, Turkī b. ʿAbd Allāh, un saudita che riuscì a evitare la cattura da parte degli egiziani, riuscì ad espellere le forze egiziane e i loro alleati locali da Riyad e dintorni. Turkī, un nipote del primo imam saudita Muhammad ibn Sa'ud, viene generalmente indicato come fondatore della seconda dinastia saudita ed è anche l'antenato dei re sauditi odierni. Fece di Riyad la sua capitale e si avvalse dei servizi di molti parenti che erano scappati dalla prigionia in Egitto, incluso suo figlio Fayṣal.
Turkī venne assassinato nel 1834 da Mishārī ibn ʿAbd al-Raḥmān, un lontano cugino. Mishārī venne presto assediato a Riyad e poi condannato a morte da Fayṣal, che diventò il più importante dei sovrani sauditi del secondo regno. Fayṣal, comunque, affrontò una seconda invasione del Najd da parte degli egiziani quattro anni dopo. La popolazione locale fu riluttante a resistere, e Fayṣal venne sconfitto e portato una seconda volta come prigioniero in Egitto nel 1838.
Gli egiziani insediarono Khālid ibn Saʿūd come sovrano a Riyad e lo sostennero con le loro truppe. Khālid era l'ultimo fratello ancora in vita dell'ultimo Imam del Primo Stato saudita, e passò molti anni alla corte egiziana. Nel 1840, comunque, conflitti esterni forzarono gli egiziani a ritirarsi completamente dalla penisola arabica, lasciando Khālid con poco supporto. Visto da molti locali solamente come un governatore egiziano, Khālid venne rovesciato poco dopo da ʿAbd Allāh ibn Thuniyyan, del ramo degli Āl Thuniyyan. Fayṣal, però, che venne liberato quell'anno, aiutato dal sovrano di Ha'il, riuscì a riconquistare Riyad e ad assumerne il controllo. Fayṣal poi designò suo figlio ʿAbd Allāh come principe ereditario, e divise i suoi domini fra i suoi tre figli, ʿAbd Allāh, Saʿūd e Muḥammad.
Alla morte di Fayṣal nel 1865, ʿAbd Allāh assunse il governo a Riyad, ma venne presto sfidato da suo fratello Saʿūd. Scoppiò quindi una guerra civile in cui si scambiarono più volte la sovranità di Riyad. Precedentemente un vassallo dei sauditi, appartenente alla famiglia Āl Rashīd, Muḥammad b. ʿAbd Allāh b. Rashīd di Hāʾil, colse l'opportunità di intervenire nel conflitto ed accrescere il proprio potere. Gradualmente, Ibn Rashīd estese la propria autorità su tutto il Najd, inclusa la capitale Riyad. Ibn Rashīd alla fine espulse l'ultimo leader saudita, ʿAbd al-Raḥmān b. Fayṣal, dal Najd dopo la battaglia di Mulayda del 1891.

Arabia Saudita

Exquisite-kfind.pngLo stesso argomento in dettaglio: Unificazione dell'Arabia Saudita e Arabia Saudita.
Dopo la sconfitta a Mulayda, ʿAbd al-Raḥmān ibn Fayṣal andò in esilio con la sua famiglia nel deserto dell'Arabia orientale tra i Beduini di al-Murra. Poco dopo trovò rifugio in Kuwait come ospite dell'emiro kuweitiano Mubarak Al Sabah. Nel 1902 il figlio di ʿAbd al-Raḥmān, ʿAbd al-ʿAzīz, si assunse il compito di ripristinare la sovranità saudita a Riyad. Sostenuto da una dozzina di seguaci e accompagnato da alcuni fratelli e parenti, ʿAbd al-ʿAzīz riuscì a prendere il forte Masmak ed uccidere il governatore lì nominato da Ibn Rashīd. ʿAbd al-ʿAzīz, a quanto si dice solamente con venti uomini, venne immediatamente proclamato sovrano di Riyad. Come nuovo leader della dinastia Saudita, ʿAbd al-ʿAzīz divenne da allora noto come “Ibn Saʿūd”.
Ibn Saʿūd passò i successivi trent'anni provando a ristabilire la sovranità della sua famiglia sulla Penisola araba, iniziando dal natio Najd. I suoi principali rivali erano il clan Āl Rashīd ad Hāʾil, lo sharif della Mecca in Hijaz, e iturchi ottomani ad al-Hasa. Inoltre, Ibn Saʿūd doveva anche lottare con quello che sarebbe poi diventato il ramo “Saʿūd al-Kabīr” della famiglia, ovvero i discendenti di Saʿūd ibn Fayṣal, zio di Ibn Saʿūd, ormai scomparso, i quali ritenevano di essere i legittimi eredi al trono. Per qualche tempo Ibn Saʿūd riconobbe la sovranità dei sultani ottomani, assumendo anche il titolo di Pascià, per allearsi poi con i britannici in contrapposizione agli stessi Ottomani, i quali erano sostenuti dagli Āl Rashīd. Con il trattato di Darin, firmato nel 1915, i territori di Ibn Saʿūd diventarono ufficialmente un protettorato britannico, e tali rimasero fino al 1927.
ʿAbd al-ʿAzīz conquistò il Najd nel 1922 e l'Ḥijāz nel 1925. Da sultano del Najd, diventò prima re del Ḥijāz e Najd e poi si autoproclamò re del Regno dell'Arabia Saudita (precedentemente ebbe vari titoli, cominciando con “Sultano del Najd” e finendo con “Re del Hijaz e Najd e delle loro dipendenze”) nel 1932. Il padre di Ibn Saʿūd, ʿAbd al-Raḥmān, mantenne il titolo onorario di Imam. Nel 1937 vicino a Dammam, periti statunitensi scoprirono quella che poi si sarebbe confermata essere la vasta riserva petrolifera dell'Arabia Saudita. Prima della scoperta del petrolio molti dei membri della famiglia erano poveri.[10]
Ibn Saʿūd ebbe dodici figli dalle sue molte mogli. Ebbe al massimo quattro mogli alla volta. Divorziò e si sposò molte volte, entrando così a far parte di molti clan e tribù del suo territorio, tra cui le tribù Banū Khālid, Ajmān,Shammar e Āl al-Shaykh (discendenti di Muḥammad ibn ʿAbd al-Wahhāb). Inoltre organizzò simili matrimoni per i suoi figli e parenti. Indicò il suo figlio più vecchio, Saʿūd, come possibile erede, a cui sarebbe dovuto succedergli il secondo più vecchio, Fayṣal. La famiglia saudita divenne nota come “famiglia reale” ed ogni membro, maschio e femmina, venne rispettivamente insignito del titolo di amīr (principe[11]) e amīra (principessa).
Ibn Saʿūd consolidò l'alleanza con gli Stati Uniti nel 1945 e morì nel 1953. È ancora celebrato ufficialmente come il “fondatore”, e solo i suoi diretti discendenti possono prendere il titolo di “sua altezza reale”. La data della riconquista di Riyad nel 1902 venne scelta per celebrare il centenario dell'Arabia Saudita, che secondo il calendario lunare islamico cadde nel 1999.
Alla morte di Ibn Saʿūd, suo figlio Saʿūd salì al trono senza incidenti, ma le sue spese sconsiderate portarono ad una lotta per il potere con il nuovo principe ereditario, Fayṣal. Nel 1964 la famiglia reale obbligò Saʿūd ad abdicare in favore di Fayṣal, aiutata da un responso giuridico del Gran mufti del paese. In questo periodo alcuni dei figli più giovani di ibn Saʿūd, guidati da Ṭalāl ibn ʿAbd al-ʿAzīz, abbandonarono la famiglia ed andarono in Egitto, chiamandosi “principi liberi”, chiedendo liberalizzazioni e riforme, ma vennero convinti da Fayṣal a ritornare. Vennero pienamente perdonati, ma anche esclusi da futuri ruoli di governo.
Fayṣal venne assassinato nel 1975 da un nipote, Fayṣal ibn Musāʿid, che venne immediatamente giustiziato. Un altro fratello, Khālid, salì allora al trono. Il principe che seguiva nella linea ereditaria in realtà era Muḥammad, ma questi rinunciò in favore del fratello.
Il presidente degli Stati Uniti Barack Obama offre le sue condoglianze per la morte di re ʿAbd Allāh (Riyad, 27 gennaio 2015).
Il presidente degli Stati Uniti Barack Obama offre le sue condoglianze per la morte di re Abdullah, Riyad, 27 gennaio 2015
Khālid morì per un attacco di cuore nel 1982, e gli succedette Fahd, il più vecchio dei potenti “sette Sudayrī”, così chiamati perché figli di Ibn Saʿūd e Ḥaṣṣa al-Sudayrī. Nel 1986 Fahd eliminò il precedente titolo reale di “Sua Maestà” e lo sostituì con “Custode delle due sacre moschee”, in riferimento alle città sante di Mecca e Medina.
Un infarto nel 1995 lasciò Fahd fisicamente disabile ed il principe ereditario, ʿAbd Allāh, gradualmente assunse molte delle responsabilità del re fino alla sua morte nell'agosto del 2005. ʿAbd Allāh fu proclamato re nel giorno della morte di Fahd e subito nominò suo fratello più giovane, Sulṭān bin ʿAbd al-ʿAzīz, che era ministro della difesa e secondo vice Primo ministro, come nuovo successore. Il 27 marzo 2009 ʿAbd Allāh nominò il principe Nāyef ministro degli Interni e secondo vice primo ministro e principe ereditario il 27 ottobre.[12] Sulṭān morì nell'ottobre 2001 mentre Nāyef morì a Ginevra, in Svizzera, il 15 giugno 2012. Il 23 gennaio 2015 ʿAbd Allāh, dopo nove anni di regno, morì dopo una lunga malattia. Il principe ereditarioSalmān bin ʿAbd al-ʿAzīz Āl Saʿūd fu proclamato nuovo re.

Potere politico

Il vice principe ereditario e ministro per la difesa Mohammadcon il segretario alla difesa statunitense Ashton Carter al Pentagono, 13 maggio 2015
Il vice principe ereditario e ministro per la difesa Mohammad con il segretario alla difesa statunitenseAshton Carter al Pentagono, 13 maggio 2015
Il capo della dinastia saudita è il re dell'Arabia Saudita, che è anche capo di Stato e sovrano del regno dell'Arabia Saudita. Il re detiene potere politico quasi assoluto e nomina i ministri del suo ufficio che li supervisiona in suo nome. I ministeri chiave della difesa, interni, esteri e quasi tutti i 13 posti di governatore regionale sono riservati agli Al Saud. La maggior parte dei portafogli, come quello per le finanze, lavoro, informazione, pianificazioni, affari petroliferi ed industria, tradizionalmente vengono assegnati a cittadini comuni, spesso con giovani membri della dinastia come vice. La famiglia Al Saud detiene anche la maggior parte delle cariche militari e governative importanti. Il potere supremo è sempre rimasto in mano agli Al Saud, anche se il supporto dagli ulema, dalla comunità mercantile e di gran parte della popolazione sono stati fondamentali per il mantenimento dello status quo politico della famiglia.
Le cariche di governo di lunga durata, come quelle di re Abdullah, che era comandante della Guardia Nazionale dal 1963 al 2010, dell'ex principe ereditario Sultan bin 'Abd al-'Aziz Al Sa'ud, che è stato ministro della difesa e dell'aviazione dal 1962 alla sua morte nel 2011, dell'ex principe ereditario Nayef bin 'Abd al-'Aziz Al Sa'ud che è stato ministro degli interni dal 1975 al 2012, del principe Mut'ib bin 'Abd al-'Aziz Al Sa'ud che è stato degli affari locali e rurali dal 1975 al 2009, e l'attuale re Salman, che è stato governatore della regione di Riyad dal 1963 al 2011, hanno perpetuato la creazione di feudi dove i principi più vecchi hanno spesso mescolato le loro ricchezze private con quelle dei rispettivi domini. Hanno anche nominato i loro figli a posizioni di dominio all'interno dei loro feudi. Alcuni esempi sono il principe Mut'ib bin 'Abd Allah Al Sa'ud, che è stato vicecomandante della guardia nazionale fino al 2010, il principe Khalid bin Sultan Al Sa'ud come viceministro della difesa fino al 2013, il principe Mansour bin Mutaib come viceministro degli affari locali e rurali e il principe Mohammed bin Nayef come viceminisitro degli interni. In alcuni casi dove i portafogli avevano budget molto alti la nomina a vice di fratelli più giovani si è resa necessaria per condividere le ricchezze e le responsabilità di ogni feudo, come nel caso del principe 'Abd al-Rahman ibn 'Abd al-'Aziz Al Sa'ud che era viceministro della difesa e dell'aviazione Sultan bin 'Abd al-'Aziz, o il principe Bard, vice di re Abdullah nella Guardia Nazionale.
A differenza delle famiglie reali occidentali la monarchia saudita non ha un ordine di successione chiaramente definito. Storicamente, una volta diventato re, il sovrano designava il proprio erede al trono che faceva da principe ereditario del regno. Alla morte del re il principe ereditario diventa re, e durante l'assenza di poteri del re il principe ereditario ne assume i poteri. anche se altri membri della famiglia Al Saud detengono posizioni politiche nel governo, tecnicamente sono solo il re e il principe ereditario a costituire legalmente delle istituzioni politiche.

Opposizione

Opposizione interna

Exquisite-kfind.pngLo stesso argomento in dettaglio: Diritti umani in Arabia Saudita.
A causa del proprio governo autoritario e teocratico la dinastia saudita ha attirato molte critiche. I suoi oppositori generalmente descrivono la monarchia saudita come totalitaria o dittatoriale. Ci sono stati numerosi incidenti, manifestazione ed altre forme di resistenza contro la dinastia, come la ribellione degli Ikhwan durante il regno di Ibn Saʿūd o i numerosi colpi di stato da diversi rami dell'esercito del regno.
Il 20 novembre 1979 il Santuario alla Mecca venne violentemente occupato da 500 dissidenti pesantemente armati, soprattutto uomini della scomparsa tribù Ikhwan degli ʿOtayba, ma anche da altri arabi ed alcuni egiziani che frequentavano studi islamici all'università Islamica di Medina.
L'occupazione fu guidata da Juhayman al-Otaybi e ʿAbd Allāh al-Qaḥṭānī (convinto dell'imminenza dell'Apocalisse) che denunciavano la corruzione e la immorale sontuosità del governo saudita. al-ʿOtaybī e il suo gruppo attaccarono come bidāʾ (perniciosa innovazione) gli elementi di modernizzazione socio-tecnologica in atto in Arabia Saudita e chiesero che il petrolio non venisse venduto agli Stati Uniti.[13]
Al-ʿOtaybī ebbe uno scarso sostegno al di fuori del piccolo circolo di lavoratori e studenti di origine tribale, e di lavoratori stranieri (da Egitto, Yemen e Pakistan). La famiglia saudita si rivolse agli ʿulamāʾ che emisero una fatwache permetteva di assaltare il santuario. Forze armate saudite, aiutate da forze speciali francesi e pachistane, impiegarono due settimane per far uscire i ribelli dal santuario; l'uso di commando francesi fu sorprendente in quanto, ufficialmente, i non-musulmani non possono entrare a La Mecca.[14] Secondo Lawrence Wright, il commando della GIGN si sarebbe convertito (non si sa quanto in buona fede) all'Islam,[15] anche se questa ricostruzione è stata contraddetta da almeno altre due ricostruzioni, fra cui quella del comandante del GIGN Christian Prouteau, il quale disse che i tre uomini del commando del CICN non presero parte all'azione e non misero piede nella moschea, sostenendo che l'operazione venne compiuta da uomini delle forze speciali pachistane.
Tutti gli uomini sopravvissuti, al-ʿOtaybī compreso, vennero decapitati pubblicamente in quattro città dell'Arabia Saudita.[16]

Note

  1. ^ a b Stig Stenslie, Regime Stability in Saudi Arabia: The Challenge of Succession, Routledge, 21 agosto 2012, p. 53, ISBN 978-1-136-51157-8.
  2. ^ Counter-Narratives: History, Contemporary Society, and Politics in Saudi Arabia and Yemen by Madawi Al-Rasheed (Editor), Robert Vitalis (Editor) p. 64
  3. ^ History of the Kingdom, su Ministry of Foreign AffairsURL consultato il 20 marzo 2015.
  4. ^ Al Saud Family Saudi Arabia History, su Arab Royal FamilyURL consultato il 20 marzo 2015.
  5. ^ G. Rentz, al-Diriyya (or al-Dariyya), in P. Bearman, Th. Bianquis, C.E. Bosworth, E. van Donzel e W.P. Heinrichs (a cura di), Encyclopaedia of Islam, Brill, 2007. URL consultato l'8 settembre 2007.
  6. ^ H. St. John Philby, questia Saudi Arabia , London, Ernest Benn, 1955, p. 8.
  7. ^ John Pike, King Abdul Aziz Bin Abdul Rahman Al-Saud, su Global SecurityURL consultato il 20 marzo 2015.
  8. ^ a b c Mark Weston, Prophets and princes: Saudi Arabia from Muhammad to the present, Hoboken, N.J., Wiley, 2008, p. 101, ISBN 0-470-18257-1.
  9. ^ Wayne H. Bowen, The history of Saudi Arabia, 1. publ., Westport, Conn., Greenwood Press, 2008, p. 73, ISBN 0-313-34012-9.
  10. ^ Abdullah Mohammad Sindi, Britain and the Rise of Islam and the House of Saud, in Kana'an Bulletin, IV, nº 361, 16 gennaio 2004, pp. 7–8.
  11. ^ In realtà la parola, in lingua araba, indica un "comandante" e ha acquisito per un chiaro fenomeno acculturativo l'accezione di "principe".
  12. ^ Saudi Arabia names Prince Nayef as heir to throne, in BBC, 27 ottobre 2011. URL consultato il 28 ottobre 2011.
  13. ^ Madawi Al-Rasheed (Editor), Robert Vitalis (Editor), Counter-Narratives: History, Contemporary Society, and Politics in Saudi Arabia and Yemen, p. 64
  14. ^ History of the Kingdom, su Ministry of Foreign AffairsURL consultato il 20 marzo 2015.
  15. ^ Al Saud Family Saudi Arabia History, su Arab Royal FamilyURL consultato il 20 marzo 2015.
  16. ^ John Pike, King Abdul Aziz Bin Abdul Rahman Al-Saud, su Global SecurityURL consultato il 20 marzo 2015.

Voci correlate