giovedì 9 febbraio 2017

Vite quasi parallele. Capitolo 20. Come ai tempi di Jane Austen

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Sia Ettore Ricci che sua moglie Diana Orsini avevano due sorelle che si avvicinavano all'età da marito e che erano pronte per il debutto in società.
Era il 1939, ma sembrava che il tempo si fosse fermato al 1810.
La Contea di Casemurate dei tempi prima della guerra era, come faceva notare la stessa Contessa Emilia Orsini, "in un certo qual modo simile alle campagne inglesi del periodo Regency".
C'era una certa dose di esagerazione in quelle frasi, ma per quel che riguardava l'ossessione del far fare alle figlie un buon matrimonio, sembrava di vivere davvero come dentro un romanzo di Jane Austen.
Diana aveva letto tutti i romanzi della scrittrice inglese, e poi anche quelli delle sorelle Bronte, fino ad avventurarsi in letture considerate all'epoca del tutto licenziose, come i romanzi di D.H. Lawrence, in particolare "L'amante di Lady Chatterley", leggendo il quale si era sentita particolarmente solidale con le esigenze della Lady.
Il suo matrimonio senza amore era reso sopportabile solo dal fatto che lei non aveva avuto occasione di innamorarsi di qualcun altro.
La gravidanza, giunta quasi immediata, addolciva la sua situazione, poiché desiderava molto diventare madre.
Molto più difficile fu sopportare l'insediamento delle cognate a Villa Orsini.
Le due sorelle di Ettore Ricci, Carolina e Adriana, erano acide e lunatiche.
Carolina aveva una faccia tonda e un corpo pingue, vagamente riscattati dai capelli chiari e dagli occhi azzurri, ma il suo carattere era grossolano fino al punto di spingersi a fare battute sconce e ricorrere frequentemente al turpiloquio e ad imprecazioni da caserma.
Il suo corteggiatore era un membro della Milizia fascista, un certo Onofrio Tartaglia, un omaccione gradasso molto amico di Ettore Ricci, che lo aveva invitato apposta ai ricevimenti a Villa Orsini.
Tartaglia, detto "Compagnia Bella", a causa del frequente uso di quell'intercalare e del fatto che la sua compagnia fosse tutt'altro che bella.
Adriana al contrario aveva una faccia secca, puntuta, e un corpo scheletrico e piatto: i suoi occhi erano spiritati e infuocati, come quelli del vecchio Giorgio Ricci, da cui aveva appreso le passioni per l'usura e per la politica.
Nessun pretendente si era fatto avanti.
Fin dal suo ingresso a Villa Orsini, tutti la detestarono, ma nel contempo iniziarono a temerla.
Al contrario le sorelle di Diana non portavano niente in dote, ma erano bellissime e dolci.
Ginevra Orsini assomigliava alla madre, da cui aveva preso i capelli rossi, gli occhi azzurri e la pelle lentigginosa. Era timida e docile, e parlava con una voce flautata che la rendeva ancora più eterea.
Un giovane magistrato di Forlì, Giuseppe Papisco, era attratto in maniera spasmodica da Ginevra Orsini.
Era un uomo raffinato e colto, paziente e diplomatico.
"Potrebbe funzionare", pensò Diana, vedendoli insieme.
Le sue preoccupazioni riguardavano più che altro la sorella più giovane, che era la perla più preziosa della famiglia.
Isabella Orsini era stupenda: una delle giovani donne più belle che si fossero mai viste da quelle parti, a memoria d'uomo.
Mora, slanciata, con fisico snello da odalisca, viso ovale, occhi intensi, labbra piene, lineamenti regolari e dolci, sorriso irresistibile.

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E questa sua eccessiva bellezza fu una delle cause della sua rovina.
Successe infatti qualcosa che andava al di là di ogni più fantasiosa previsione.
Suo cognato Ettore Ricci, che non l'aveva mai vista prima di sposare sua sorella, rimase abbagliato da quella bellezza così irresistibile.
Tutto l'amore che aveva provato per Diana incominciò, lentamente, ma inesorabilmente, a convogliarsi verso di lei, tanto da renderlo geloso di ognuno degli innumerevoli corteggiatori che si facevano avanti per ricevere anche un solo sorriso da parte di Isabella.

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