domenica 2 aprile 2017

Cosmogenesi teosofica secondo Helena Blavatsky

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I sette anelli della catena planetaria

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Le Stanze di Helena Blavatsky

La parte I del primo volume de La Dottrina Segreta (1888), intitolata Cosmogenesi, contiene sette stanze in versi ermetici e simbolici composte dalla Blavatsky, per ognuna delle quali l'autrice dedica, successivamente, un capitolo di commento in cui spiega i suoi stessi versi. Il secondo volume intitolato Antropogenesi ne contiene altre dodici, sempre seguite da un commento e da una interpretazione.
Come esempio del linguaggio ermetico utilizzato dalla Blavatsky, viene riportata di seguito la prima stanza del primo volume:
« 1. - L'Eterna Genitrice, ravvolta nelle sue Vesti Eternamente Invisibili, era rimasta sopita ancora una volta per Sette Eternità.
2. - Il Tempo non era, poiché giaceva addormentata nel Seno Infinito della Durata.
3. - La Mente Universale non era, poiché non vi erano Ah-hi per contenerla.
4. - Le Sette Vie alla Beatitudine non erano. Le grandi Cause del Dolore non erano, perché non vi era alcuno per produrle ed esserne preso.
5. - Solo Tenebre riempivano il Tutto illimitato, poiché Padre, Madre e Figlio erano nuovamente Uno; ed il Figlio non si era ancora destato per la nuova Ruota e per il suo Pellegrinaggio su di essa.
6. - I Sette Sublimi Signori e le Sette Verità avevano cessato di essere e l'Universo, Figlio della Necessità, era immerso in Paranishpanna, pronto ad essere esalato da ciò che è, e tuttavia non è. Nulla era.
7. - Le Cause dell'Esistenza erano state abolite; il Visibile che fu e l'Invisibile che è, riposavano nell'Eterno Non-Essere-l'Essere Uno.
8. - Sola, l'Unica Forma di Esistenza si stendeva illimitata, infinita, incausata, nel Sonno Senza Sogni, e la Vita pulsava inconscia nello Spazio Universale, attraverso quella Onnipresenza che è percepita dall'Occhio Aperto di Dangma.
9. - Ma dov'era Dangma quando Alaya dell'Universo era in Paramartha, e la Grande Ruota era Anupadaka? »
(La dottrina segreta, opera citata, pag. 85)

Il manoscritto del Libro di Dzyan

Le Stanze sarebbero state composte dalla Blavatsky interpretando il linguaggio iconografico di un presunto manoscritto tibetano molto antico, il Libro di Dzyan (anche Dzan o Dzyn[4]), che sarebbe servito come base sapienziale per La dottrina segreta.
La Blavatsky descrive il manoscritto, di cui avrebbe avuto visione diretta, come un testo antico di migliaia di anni redatto in lingua Senzar[5] e conservato in un luogo segreto del Tibet. Scritto «su foglie di palma, ma rese inalterabili al fuoco, all'acqua e all'aria mediante qualche processo specifico ignoto»[6], il libro tratterebbe della cosmogenesi e dell'evoluzione dell'uomo fino alla distruzione di Atlantide.
Altri versi attribuiti al Libro di Dzyan sono stati pubblicati da Alice Bailey in A Treatise on Cosmic Fire nel 1925.
Del Libro di Dzyan non è stata fornita alcuna fonte originale né esiste alcuna citazione anteriore alla pubblicazione della Blavatsky o esterna alla saggistica esoterica afferente o meno a movimenti teosofici[7]. Al di là delle interpretazioni fornite della Blavatsky, la completa mancanza di riscontri di questo manoscritto originale così come della misteriosa lingua pre-sanscrita in cui sarebbe stato redatto, rende dubbia la sua reale esistenza. Nel 1993, la teosofista Sylvia Cranston (pseudonimo di Anita Atkins) avanzò l'ipotesi che i versi delle stanze fossero interamente una creazione originale[8] della Blavatsky negando, conseguentemente, l'esistenza del manoscritto.
David Reigle, un orientalista affiliato alla Società Teosofica, reputa, invece, il manoscritto connesso ad un testo del Buddhismo Vajrayana, il Kalachakra Tantra. L'esoterista inglese Nicholas Goodrick-Clarke ha suggerito, nel 2006, che la fonte di ispirazione delle stanze andrebbe ricercata nel Taoismo cinese e nella Cabala ebraica.

Sinopsi delle prime sette stanze

La storia dell'evoluzione Cosmica, come delineata nelle Stanze, è, per così dire, la formula algebrica astratta di tale evoluzione.Quindi lo studioso non si aspetti di trovarci il resoconto di tutti li stadi e di tutte le trasformazioni  che occorrono tra il primo inizio dell'evoluzione universale ed il nostro stato presente. Le Stanze danno una formula astratta applicabile, mutatis mutandis, a qualsiasi evoluzione: a quella della nostra piccola Terra, a quella della Catena di cui la Terra fa parte, all'Universo Solare a cui questa catena appartiene, e così via, in una scala ascendente.
Le sette Stanze riportate nel primo volume rappresentano i sette termini di questa formula astratta. Descrivono i sette grandi stadi del processo evolutivo, i quali nel Purana son chiamati le "Sette Creazioni" e nella Bibbia i "Giorni" della Creazione.

La Stanza I: descrive lo stato dell'Uno-Tutto durante il Pralaya, anteriormente al primo fremito di risveglio della Manifestazione.

La Stanza II: descrive lo stadio che per la mente occidentale è così identico a quello menzionato nella Stanza I, che per esprimere l'idea della loro differenza occorrerebbe un apposito trattato.

La Stanza III: descrive il risveglio dell'Universo alla vita dopo il Pralaya. Descrive l'emergere delle Monadi dal loro stato di assorbimento entro l'Uno, primo e più alto stadio nella formazione dei mondi - essendo il termine Monade applicabile al più vasto dei Sistemi Solari ed al più minuto degli atomi.

La Stanza IV: mostra il differenziarsi del "Germe" dell'Universo nella Gerarchia Settenaria dei Divini Poteri coscienti, che sono la manifestazione attiva della Suprema Energia Una. Essi sono i modellatori, i plasmatori, ed infine i creatori di tutto l'Universo manifestato, nell'unico senso in cui il termine "creatore" è intellegibile; essi informano e guidano l'universo; sono gli Esseri intelligenti che regolano ed aggiustano l'evoluzione, sono le manifestazioni incarnate della Legge Una da noi conosciute come "Leggi della natura".

La Stanza V: descrive il processo della formazione dei mondi. Prima la materia cosmica diffusa, poi l'"igneo turbine", primo stadio della formazione di una nebulosa. Questa nebulosa si condensa, e. dopo essere passata per varie trasformazioni, forma un Universo solare, una Catena planetaria, od un singolo pianeta secondo il caso.

La Stanza VI: indica gli stadi susseguenti della formazione di un "mondo", e giunge al quarto grande periodo dell'evoluzione che corrisponde a quello in cui viviamo adesso.

La Stanza VII: continua la storia, racconta la discesa della vita fino all'apparire dell'uomo, e così termina il primo libro della Dottrina Segreta.


Il concetto di CATENA PLANETARIA

Secondo la concezione teosofica di Helena Blavatsky, in Natura esiste un triplice schema di evoluzione : il Monadico, l'Intellettuale, il Fisico. I tre sono inestricabilmente interconnessi. Ciascuno di essi ha le proprie leggi ed è guidato da diversi gruppi dei più alti Dhyan Chohan. È noto che, esotericamente, la struttura dell'uomo, il Microcosmo, è settenaria; così è quella del Macrocosmo. Come nell'uomo l'unico principio visibile (anche se non si tratta di un vero e proprio principio) è il corpo fisico, così in un corpo spaziale l'unico corpo visibile è il globo che presenta il massimo della materialità.

Quindi, un qualsiasi corpo celeste ha la stessa evoluzione dell'essere umano : si parte dal massimo della spiritualità, si discende attraverso l'"arco scuro" fino al massimo della materialità, per poi risalire attraverso l'"arco luminoso" verso la spiritualità. 
La Terra ha seguito lo stesso percorso; oggi è al quarto stadio, il massimo della materialità, ma il punto mediano è già stato superato ed ha avuto inizio il percorso verso l'alto.
Una Catena Planetaria, quindi, è la successione dei sette mondi, o stadi, o globi, che un pianeta attraversa nel corso della sua evoluzione. Gli antichi sostenevano che ogni Globo è uno stadio della Catena settenaria di un corpo celeste, della quale è visibile un solo membro. Ogni globo ha un proprio stato di coscienza, per cui esso è visibile solo da altri globi che sono nello stesso piano. E questo è il motivo per cui la scienza definisce "inabitati" i pianeti sui quali non trova, o non riesce a trovare, le forme di vita esistenti sulla Terra. La più grande arroganza dell'essere umano è quella di assumere la Terra come modello e su di essa giudicare l'intero Universo!

Il Libro di Dzyan nella narrativa e nel fumetto

Il Libro di Dzyan ha avuto una certa fortuna narrativa. È citato nei racconti horror-fantasy Il diario di Alonzo Typer[9] e L'abitatore del buio - scritti entrambi da Howard Phillips Lovecraft nel 1935 - come uno dei testi alla base dei miti di Cthulhu al pari del famoso Necronomicon; come tale viene ripreso dallo scrittore August Derleth[10] e, successivamente, da tutte le edizioni del gioco di ruolo Il richiamo di Cthulhu della Chaosium.
Nel libro Flyng saucers - Serious business (1966) dell'ufologo statunitense Frank Ewards, viene citato il Libro di Dzyan che conterrebbe, secondo l'autore, la narrazione mitizzata dell'arrivo sulla Terra, in un remoto passato, di un gruppo di alieni. Gli extraterrestri vennero accolti come divinità dagli abitanti di una città del luogo, ma divergenze successive avrebbero condotto una parte del gruppo a trasferirsi in un altro insediamento. Sorse un conflitto e il gruppo originario annientò la città avversaria facendo uso di armi simili a quelle nucleari, ma in seguito, colto da rimorso per la devastazione compiuta, abbandonò il pianeta per non fare mai più ritorno.
In Alone in the Dark del 2001, un fumetto tratto dalla famosa serie di videogiochi omonima[11] ispirata ai miti di Cthulhu, il Libro di Dzyan viene considerato il lascito di un'antica razza di alieni vissuta milioni di anni prima nell'Antartide similmente alla Grande razza di Yith descritta da Lovecraft.
Il libro fa parte anche della bibliografia utilizzata dall'autore di fumetti italiano Luca Enoch per Gea.
Sul Libro di Dzyan è incentrato l'albo a fumetti L'uomo che inseguiva le ombre (Storie da Altrove n. 11 - ottobre 2008).
La piovra spaziale Klatu, che appare nel ciclo a fumetti Serial Toys Cosmic Snake di Maurizio Ercole serializzata nella rivista Inner Space, rappresenta una delle creature demoniache degli Asura descritte nel Libro di Dzyan.

Note

  1. ^ La dottrina segreta volume I, opera citata, pag. 81. Pur essendo chiara la distinzione ne La dottrina segreta, viene fatta, talvolta, una certa confusione dagli autori successivi fra i versi composti dalla Blavatsky (le stanze) e il presunto manoscritto (il libro) la cui interpretazione dei simboli contenuti avrebbe ispirato la composizione delle stanze. Reputando, infatti, le stanze una traduzione del Libro di Dzyan viene utilizzato da questi autori il termine incorretto di Stanze di Dzyan per riferirsi sia all'opera della Blavatsky sia al presunto manoscritto originale.
  2. ^ Vedi: Blavatsky, HP. Le Stanze di Dzyan, Marco Valerio Editore, 2011.
  3. ^ Per stanza si intende in metrica, una strofa o una sezione di un poema o di una canzone.
  4. ^ DzyanDzan o Dzyn in lingua senzar (v. nota successiva per senzar). In "The Theosophical Glossary" (1892), la Blavatsky offre un'ulteriore grafia alternativa (Dzen) e correla il nome ai termini sanscriti dhyan e jnâna (saggezza, conoscenza divina) e al tibetano Dzin (insegnamento) Fonti: H. P. Blavatsky, The Theosophical Glossary, The Theosophical Publishing Society, 1892; G. de Purucker, Grace F. Knoche et alii, Encyclopedic Theosophical Glossary, Theosophical University Press Online Edition, 1999.
  5. ^ Si tratterebbe, secondo la Blavatsky, di una lingua asiatica misteriosa basata su logogrammi e antecedente il sanscrito, ma intelligibile, tuttavia, a qualunque iniziato alle discipline esoteriche.
  6. ^ La dottrina segreta volume I, opera citata, pag. 63.
  7. ^ Non sempre coincidenti con la Società Teosofica fondata originariamente dalla Blavatsky e altri nel 1875 a New York e la cui sede attuale si trova a Chennai in India.
  8. ^ The Extraordinary Life and Influence of Helena Petrovna Blavatsky, opera citata, pag. 384.
  9. ^ Si tratta di uno dei racconti scritti a pagamento da Lovecraft per conto terzi; in questo caso per William Lumley che gli inviò la trama del racconto poi sviluppata liberamente dallo scrittore di Providence.
  10. ^ Che oltre a ampliare la complessa mitologia dell'universo lovecraftiano, fonda nel 1939 l'Arkam House, la storica casa editrice che si occuperà, assieme alla Necronomicon Press, della pubblicazione dell'intera opera di Lovecraft.
  11. ^ Alone in the Dark della Infogrames.

Bibliografia

  • Helena BlavatskyLa dottrina segreta volume I e II, Edizioni Teosofiche Italiane, Vicenza 1997
  • Sylvia Cranston, HPB. The Extraordinary Life and Influence of Helena Petrovna Blavatsky, Tarcher/Putnam, New York 1993
  • Nicholas Goodrick-Clarke (ed.), Helena Blavatsky, North Atlantic Books, Berkeley (CA) 2004 ISBN 1-55643-457-X
  • Howard Phillips LovecraftTutti i racconti. 1931-1936, Mondadori Milano 1992
  • David e Nancy Reigle, Blavatsky's Secret Books, DeVorss Publications 1999

Voci correlate



Poeticamente la terza delle “Stanze di Dzyan” ci dice che “Padre-Madre tesse una tela la cui estremità superiore è congiunta allo spirito, la luce della Tenebra Unica, e l’inferiore alla sua estremità oscura, la materia”. HPB è molto chiara quando dice che: “Nel sistema solare (lasciamo stare l’intero kosmos) la materia differenziata esiste in sette differenti condizioni e, poiché prajna, che è la capacità di percepire, ha anch’essa sette aspetti diversi in corrispondenza con i sette stati della materia, devono necessariamente esserci sette stati di coscienza nell’uomo, e le religioni e le filosofie sono organizzate secondo il maggiore o minore sviluppo di questi stati” (The Secret Doctrine, II, 597 nota).

Secondo l’insegnamento teosofico, quindi, gli stati di coscienza dell’uomo sono relativi a questi sette piani di cui quello su cui si trova la nostra terra è il più basso, poi ci sono altri tre piani su cui sono situati gli altri globi della catena terrestre e poi ci sono altri tre piani al di là di quelli della nostra catena, piani che si suole definire spirituali.

Ora se per piani superiori si intendono dei piani spirituali il raggiungimento di questi piani si ha quando si trascende il piano di una mente associata al desiderio personale, se invece si intende solo il superamento della limitazione dovuta ai nostri sensi fisici il discorso cambia e qui sta una delle principali differenze (con inevitabili, comunque mascherate, ripercussioni etiche) tra l’insegnamento blavatskiano e quello di alcuni membri della Società Teosofica che le sono succeduti come maitres de la pensée teosofica, come via da seguire per i teosofisti: c’è infatti una fondamentale differenza tra il desiderio di operare secondo quello che è il progetto divino e la ricerca dei poteri psichici. Tra la possibilità di investigare sul piano astrale e l’illuminazione della bodhi, la sapienza divina. Avere dei poteri (sensi) superiori su dei piani che sono pur sempre intimamente collegati al piano fisico non significa essere spiritualmente più evoluti, il cane che ha un olfatto migliore di quello degli uomini non è per questo più intelligente.

Le investigazioni su altri piani, che sul piano astrale si limitano a quel passivo mondo degli effetti che circonda la nostra terra, possono portare in mondi diversi in cui il sistema delle cause e degli effetti è diverso e quindi, se non si è sviluppato un adeguato stato di coscienza, lo sviluppo delle siddhi può essere pericoloso, come insegna H.P.B. .

Cosa significa quindi essere spiritualmente evoluti? Significa essersi liberati (con una scelta razionale) da ogni influenza della personalità, ossia avere raggiunto quello stato in cui il nostro Sè, quel raggio monadico che dopo un lungo percorso è giunto nel regno umano, può manifestarsi (condizione che a seconda dei casi, e dell’era in cui si verifica, può essere stabile o episodica, come sembra essere stato nel caso dei nostri Maestri): Krishnamurti dice che “finchè c’è l’attività di un sè che progetta non ci si può rendere conto della realtà” ed H.P.B. afferma che “l’Ego spirituale può agire solo se l’ego personale è paralizzato”. Chi giunge a questo livello “opera” con il proprio Ego taijasi ed è in relazione con la propria divinità interiore ed illuminato dalla bodhi, dalla divina sapienza (che non è mai disgiunta dalla compassione: prajna-karuna, “voi stessi siete stati ammaestrati da Dio ad amarvi gli uni gli altri” [1 Tess., 4, 9]), è theos didaktos, istruito dalla divinità come Ammonio Sacca: è teosofo. Per Shankaracharya prajna è la totalità della coscienza, caratterizzata dalla mancanza di discriminazione e per la Mandukya Upanishad è “la coscienza per eccellenza poichè solo in lei c’è la conoscenza del passato e del futuro e di ogni cosa”; ed a proposito del fatto che i Maestri appartennero alle culture più diverse, ci fu chi nel ‘500 disse che “ciascun uomo porta in sé l’intera forma dell’umana condizione” (Montaigne, Essais, III, 2). L’uomo….essendo composto dalle essenze di tutte le gerarchie celesti può riuscire a rendere sè stesso, come tale, superiore, in un certo senso, ad ogni gerarchia o classe, o anche ad una loro associazione.

La distanza che c’è tra noi ed i Maestri è quindi la stessa che c’è, in ognuno di noi, tra l’ego personale e il proprio Ego superiore (alcuni teosofi dicono il proprio Sè superiore, ma a questo punto non esisterebbero più differenziazioni e quindi una differenza tra allievo e maestro) e può quindi essere corta o lunga a seconda dei casi.

In ognuno c’è un luogo detto la “Terra Sacra” (il primo continente), che è definita immortale in quanto è stata la culla del primo uomo e sarà la dimora dell’ultimo divino mortale scelto come sishta per essere il futuro seme dell’umanità. Di questa terra misteriosa e sacra può essere detto molto poco, se non che…… ’la stella polare ha su di lei il suo occhio rilevatore, dall’alba al tramonto di un giorno del GRANDE RESPIRO’ e questa “Terra Sacra è un luogo che ….non ha mai condiviso il destino degli altri continenti, essendo la sola il cui destino è quello di durare dall’inizio alla fine del manvantara per tutte le ronde” (The Secret Doctrine, II , 6). Su questa terra, al centro di sette mari, sta il faro che indica la strada, emettendo la luce che illumina la via “maestra”. Ed ha questo punto risulta chiaro il perchè Suzuki chiama l’illuminazione “la beffa fondamentale”, la ragione sta infatti nel fatto che, una volta ottenutala, si scopre di averla sempre posseduta

Evidentemente i Maestri devono occuparsi dell’evoluzione umana nella sua totalità mentre, ai fini pratici personali, un Maestro è il proprio Ego illuminato dalla bodhi, e raggiungerlo (gnotis eautón) è nelle possibilità degli uomini (se compiono uno sforzo adeguato). Il maestro K.H. (nella lettera n. 45) dice “Guardatevi attorno, amico mio: vedete i tre ‘veleni’ che infuriano nel cuore degli uomini, la rabbia, l’avidità e l’illusione e le cinque cause dell’ignoranza, l’invidia, la collera, l’incertezza, la pigrizia e la miscredenza, che non ci consentono di vedere la luce. Non permettono di liberare un cuore malvagio dall’inquinamento e di sentire la spiritualità che c’è in tutti noi. Non state forse cercando, per accorciare la distanza tra di noi, di liberarvi dalla rete della vita che ha catturato tutti….?”.
Questo non toglie che, nel sapiente progetto che ha indotto la Monade a reincarnarsi, a divenire preda dell’illusione dell’ego, ogni principio sia, a suo tempo, necessario ed abbia pari dignità. La personalità deve essere trascesa pur amandola (com’è stupido, sacrilego, non farlo!). Per risorgere occorre amare la vita, la vita terrena, ma allo stesso tempo essere consapevoli dell’esistenza di una realtà superiore, occorre potere dire: “Padre Mio, se non è possibile che passi oltre di me questo calice … sia fatta la tua volontà” (Matteo XXVI, 42). E qui convergono terra e cielo, riuniti nell’uomo. Se no sarebbe troppo facile, per invertire il cammino occorre una forza (divina) equiparabile a quella primordiale. Nella Dottrina Segreta (II, 81) leggiamo che “nessuna entità, sia angelica che umana, può raggiungere lo stato nirvanico, ovvero l’assoluta purezza, se non dopo eoni di sofferenza e dopo avere conosciuto sia il MALE che il bene, poichè altrimenti quest’ultimo sarebbe incomprensibile”.
Se, come afferma il Maestro K.H., la liberazione dalle cinque cause e dai tre veleni (sovente definiti con nomi diversi) ha sempre, tradizionalmente, portato a trascendere la personalità, alla consapevolezza di far parte di una individualità più ampia, al servizio amorevole dei bisognosi: orbene penso che (senza cercare molto lontano, in paesi esotici o su piani trascendenti ) dei Maestri si possono quotidianamente trovare in quelle persone che quotidianamente, nascoste negli ospedali, negli ospizi, nelle famiglie, per le strade del mondo, ……dimostrano la loro “sapiente compassione”. Sono persone, buoni samaritani con i piedi per terra, a cui il Maestro interiore ha svelato chi è il “prossimo” e come agire, senza altra motivazione che la loro compassione (karunā, carità, …..amore…..). Carità che genera fede e speranza negli uomini.
Ricordando che Krishnamurti avverte che “…se hai intenzione di meditare non sarà meditazione” e che questo va inteso anche come: “…. il desiderio personale di un Maestro porta all’illusione”.

“La dottrina segreta afferma il progressivo sviluppo di ogni cosa, dei mondi come degli atomi, e che non è concepibile un inizio od una fine di questa stupenda evoluzione. Il nostro ‘universo’ è solo uno degli infiniti universi, tutti ‘figli della necessità’ in quanto anelli della grande catena cosmica degli universi, essendo ognuno in relazione con i suoi predecessori, dei quali è l’effetto, ed essendo la causa dei suoi successori.” (S.D. I, 43).
Evolvere è un impulso eterno che, al di là del tempo, risponde al richiamo del Dharma, di quella legge costituita da tutte le cause, dagli incalcolabili dharma, i piccoli fattori, i piccoli eventi dell’esistenza di ognuno, della sua esperienza soggettiva. Il nostro karma è la combinazione degli atti e dei pensieri di tutti gli esseri, di qualsiasi tipo, che hanno partecipato al precedente manvantara ossia alla corrente di evoluzione da cui deriva la nostra.
Evolvere è un impulso a cui non si può sfuggire, in una eterna sequela Christi c’è la necessità di reincarnarsi per poi risorgere, senza una fine, la teosofia ci dice che non c’è fine e non c’è inizio, non c’è mai stato. Ci sono la fine e l’inizio delle forme particolari (non importa quanto grandi), ma non ci fu un’origine e la vita EVOLVE senza una fine, ciclicamente. Secondo l’insegnamento teosofico l’evoluzione senza inizio nè fine, è un eterno viaggio verso sempre nuove esperienze. Gli esseri più avanzati di un sistema, come la nostra catena planetaria, incominceranno come “elementali” nella prossima manifestazione, al grado più basso dei tre regni che seguono il regno minerale o di una suddivisione conforme. In relazione alle scale musicali, la prima nota di ogni ottava ha lo stesso tono di quella della precedente, ma ad una frequenza maggiore.
Per essere più precisi: “….in natura esiste un triplice schema evoluzionario per la formazione delle tre periodiche upadhi (veicoli)…., l’evoluzione monadica, quella intellettuale e quella fisica. Questi sono gli aspetti definiti o il riflesso sul campo dell’illusione cosmica di atmā, il settimo, l’unica realtà.
1. La monadica è….connessa con la crescita e lo sviluppo della monade in sempre maggiori fasi di attività unitamente a :
2. l’intellettuale rappresentata dai manasadhyani (i deva solari o agnishvatta pitri) i “datori dell’intelligenza e coscienza” all’uomo e:
3. la fisica, rappresentata dai chhaya (forme) dei pitri lunari, intorno ai quali la natura ha costruito l’attuale corpo fisico. Questo corpo serve da veicolo per la “crescita”…. e la trasformazione per mezzo del manas e, a causa dell’accumulo delle esperienze, del finito nell’infinito, del transitorio nell’eterno e assoluto. Ognuno di questi tre sistemi ha le proprie leggi ed è regolato e guidato da differenti gruppi dei più alti dhyani o “Logoi”. Ognuno è rappresentato nella costituzione dell’uomo, il microcosmo del grande macrocosmo, ed è l’unione in lui di queste tre correnti che lo rende l’essere complesso che è attualmente”. (S.D., I, 181-2).
Secondo HPB le tre correnti, quelle degli architetti (dhyani ed eventualmente adepti di grado eccelso), degli operai (gli uomini) e dei materiali da costruzione (elementali e minerali), sono combinate indissolubilmente. Ed il Maestro K.H. (lettera n.9) afferma che “…la massa dei mondi celesti abitati da uomini intelligenti (tra cui il nostro pianeta) può essere paragonata ad una sfera o meglio ad un epicicloide formato da anelli come una catena, a mondi concatenati il cui complesso rappresenta un anello o cerchio immaginario senza fine”.
Ma per chiarire tutto ciò nell’ambito dell’insegnamento teosofico occorre precisare che nei testi che sono considerati canonici ci sono delle notevoli differenze e che se HPB dice che “l’intero cosmo è guidato, controllato ed animato da una serie quasi infinita di gerarchie di esseri senzienti, ognuna con un suo compito, i quali, qualsiasi nome diamo loro, sia che li chiamiamo dhyani ciohan o angeli, sono i ‘messaggeri’, nel senso che sono gli agenti della cosmica legge karmica. I loro gradi di intelligenza e di consapevolezza variano infinitamente e considerarli tutti dei puri spiriti senza alcun legame terrestre è pura fantasia……” (S.D., I, 274-5), ed aggiunge che “invero, come abbiamo appena visto, ogni cosiddetto ‘spirito’ o è un uomo disincarnato o è un futuro uomo. Dall’arcangelo più elevato (dhyani ciohan) fino all’ultimo “costruttore” consapevole (la più bassa classe di entità spirituali) sono tutti uomini, vissuti eoni fà, in altri manvantara, su questa o su un’altra sfera, mentre gli elementali inferiori, semi intelligenti o non intelligenti, sono tutti futuri uomini” (S.D. I, 277), al contrario il sistema di C.W. Leadbeater (Jinarajadasa ecc.) afferma che “gli spiriti della natura costituiscono una evoluzione a parte, a questo livello completamente distinta da quella dell’umanità….noi sappiamo che, dopo che si è ottenuta l’individualità, lo sviluppo dell’umanità ci conduce gradualmente sul ‘sentiero’ e poi avanti verso l’alto fino a divenire degli Adepti dalle possibilità meravigliose” ed inoltre “questa è la nostra linea di sviluppo, ma non dobbiamo fare l’errore di credere che sia l’unica linea…. gli spiriti della natura, ad esempio, non sono mai stati e non saranno mai membri di una umanità come la nostra” (The Hidden Side of Things, I, 116-7). Riguardo al nostro tema ci sono quindi due posizioni antitetiche di cui occorre prendere atto, che non si possono certo ignorare, ma che, almeno a mio parere, non si possono neanche conciliare e quindi, nel prosieguo della nostra chiaccherata, almeno per oggi…., ci limiteremo a considerare il sistema blavatskiano e dei Maestri. Fatta questa precisazione possiamo ancora citare la S.D. che dice che: ”Ogni forma sulla terra ed ogni punto (atomo) nello spazio cercano, operando per l’autoformazione, di seguire il modello posto per loro nell’“HEAVENLY MAN”….. La sua (dell’atomo) involuzione ed evoluzione, la sua crescita ed il suo sviluppo esterni ed interni hanno tutti un medesimo scopo: l’uomo; l’uomo, che su questa terra è la forma massima e definitiva; la MONADE, nella sua totalità assoluta e nel suo stato di risveglio, come culmine della incarnazione divina in terra” (S.D., I, 183).
Il modello creato in corrispondenza alla legge unica, il Dharma, quella legge costituita da tutte le cause, da tutte le registrazioni custodite nell’“Uovo d’Oro” che, ubbidendo alla legge karmica, danno ciclicamente origine alla manifestazione, ad un periodo di progresso, di sristi, dopo un periodo di riposo, di pralaya, è un paradigma che si riflette in ogni forma del cosmo, in ognuna delle conformazioni che veicolano quel processo interiore che costituisce il perché dell’esistenza. Ogni progresso esteriore, ogni evoluzione è aderenza al “progetto”.
Il primo volume del “La Dottrina Segreta” è dedicato all’esame degli eventi legati alla manifestazione dell’universo ed in particolare della nostra terra in quanto connessi con la nostra evoluzione; e spiega come il graduale, progressivo, realizzarsi dei corpi fisici, di cui si occupa l’attuale scienza, è avvenuto lungo cicli regolari e costanti, secondo una legge infallibile che prevede una ciclica alterna evoluzione.
“La Dottrina Segreta” dice che: “Per l’azione della sapienza manifestata, o Mahat, rappresentata dagli innumerevoli centri di energia spirituale nel cosmo che sono il riflesso della mente universale, che è l’ideazione cosmica con la forza intellettuale che accompagna questa ideazione, il fohat della filosofia esoterica buddhista diventa oggettivo. Fohat, seguendo i sette principi di akasha, agisce sulla sostanza manifestata ossia sull’elemento unico…….e differenziandolo in vari centri d’energia, mette in moto la legge di evoluzione cosmica, che, ubbidendo all’ideazione della mente universale, porta in esistenza ogni stato d’essere del sistema solare” (S.D., I, 110). HPB ci dice che durante la nostra catena planetaria, “in una fase discentente lo spirituale gradualmente si trasforma nel minerale, poi nel punto di mezzo spirito e materia vengono equilibrati nell’uomo e dall’uomo e quindi, nella fase ascendente, lo spirito, gradualmente, si riafferma a spese del fisico, o materia, cosìcchè, alla fine della settima razza della settima ronda, la monade sarà come liberata dalla materia e da tutti i suoi attributi, come era al principio, avendo in più guadagnato esperienza e sapienza, il frutto delle sue vite personali senza più il male e le tentazioni”(S.D., II, 180-1)..
Un tema che nel secolo passato, ed ancor oggi, ha creato problemi ai teosofisti è quello delle razze ed è quindi necessario rilevare (S.D., 571-4) che differenti stati di coscienza si possono trovare nei popoli più diversi e sono generalmente dovuti, a parte l’impegno dei singoli, a delle tendenze karmiche. In ogni uomo sono virtualmente presenti tutte e sette le razze, pur essendovi la predominanza di una in particolare. La settuplice differenziazione è dovuta al fatto che le monadi (i raggi monadici) sono di sette tipi, in relazione ai sette dhyani buddha che durante la presente manifestazione sono i prototipi per ogni diversità e che operano congiuntamente. Si deduce che le diseguaglianze fra le razze sono le stesse che si trovano al livello più sublime, ognuna con la stessa dignità, e che solo la misconoscenza dell’insegnamento teosofico può intravedervi una posizione razzista.
E’ interessante notare come differenti linee evolutive si intreccino e supportino nel succedersi di successivi stati di coscenza (razze, intendendo per razza un periodo d’evoluzione e derivando il termine dalla radice latina ratio, natura, genere, e non da radix), nell’ambito di una entità unica, un insieme di monadi immortali che preparano, sotto la guida dei differenti dhyani preposti, quelle “personalità” che sono lo strumento per progredire nel sistema delle tre correnti evolutive. Un aiuto si trova nell’ammonimento dei Maestri che indicano nella legge dell’analogia la sola guida sicura, e nella constatazione che quando nel canone blavatskiano si trovano dei numeri riferiti a fattori dei processi evolutivi ci sono delle innegabili ed irrinunciabili corrispondenze.
L’evoluzione individuale non è quindi limitata ad una vita, ma continua per un numero illimitato di vite, reso possibile dalla reincarnazione, dall’ingresso del Sé, la trinità di spirito, anima e mente, in un altro corpo umano; l’accettazione della dottrina dei cicli risponde a molte domande, a bazzecole del tipo: perché si deve morire? HPB afferma la necessità di non saltare nessun gradino, ammettendo che i gradini (intervalli) ci sono. La ricerca di una possibile liberazione dal doloroso, interminabile corso del samsara è una posizione che la teosofia non stima corretta. Il teosofista non dovrebbe considerare una vita personale dell’uomo come un episodio separato, avulso dalla interminabile sequenza di reincarnazioni imposta dalla legge karmica, in un susseguirsi di momenti di involuzione e di evoluzione che richiedono dei comportamenti completamente differenti, opposti e questo è importante quando si debbano giudicare i comportamenti altrui. Al contrario, la graduale evoluzione psicologica dell’uomo non è presa in considerazione da Krishnamurti che esorta alla liberazione non dell’io, ma dall’io, e questa è la grande differenza tra il suo pensiero e la dottrina teosofica, ma l’intuizione della teoria degli “equilibri punteggiati” da parte di due uomini di scienza come Stephen Gould e Niles Eldredge, può fare riflettere (così in alto come in basso in una visione temporale di strabiliante durata) sulla possibilità di conciliare le due posizioni. Se vogliamo raccontare una storiella: un giorno dopo l’altro invecchiamo, cambiamo a poco a poco, impercettibilmente, e poi un bel giorno ci mettono un vestitino di legno…. e come cambiamento non c’è male (ma ciò che cambia è la personalità: un vestito).
In questo contesto, in cui una visione chiaramente analogica è indubbiamente sconfessata dalla quotidiana esperienza della digitalità, la scienza, con quella stessa teoria dei quanti che nel secolo scorso ha tolto agli uomini molte certezze, dà molto su cui riflettere (come ha ben compreso David Bohm).
Ad ogni modo di certo c’è il fatto che quello dell’evoluzione è un cammino che, oltre un certo limite, non può essere abbreviato da nessuno in quanto mancano le condizioni per farlo, poiché il mondo non è ancora FORMALMENTE in grado di manifestare una coscienza umana così sublime.
Ora noi teosofisti siamo ad un punto dell’evoluzione in cui si dovrebbe essere come gli evangelici “fiori dei campi”, senza l’assillo di bisogni che spingono continuamente a voler divenire qualcos’altro; l’importante è conoscerci, cercare di vederci nel nostro contesto spazio temporale, consapevoli della ciclicità della manifestazione, in cui i momenti di involuzione e di evoluzione delle individualità, personali e collettive, si intrecciano ed accavallano, e fare del nostro meglio. Evolvendo nel corso dei cicli, durante miliardi di anni di cammino, di lavoro e di crescita, l’uomo diventerà sempre più maturo, consapevole della propria posizione e della propria meta, sempre più consapevole delle cause che sta seminando, di quelle cause che saranno gli skandha che caratterizzeranno il mondo futuro. L’evoluzione ha come meta ultima l’uomo, che su questa terra è la forma massima e definitiva. Nel 1875 M.me Blavatsky ed i suoi Maestri restituirono all’uomo la sua perduta dignità.
“L’uomo…. essendo un composto delle essenze di tutte le gerarchie celesti può riuscire, come tale, a rendere sè stesso superiore, in un certo senso, ad ogni gerarchia o classe, o anche ad una loro associazione” (S.D. I, 276), il che ci ricorda, molto suggestivamente, che nella “Cosmologia di Enoch” leggiamo che: “il Signore mi disse….. poichè nemmeno ai miei angeli ho aperto il mio segreto, nè ho detto la loro nascita e non hanno conosciuto la mia creazione immensa ed inconcepibile, a te oggi la rivelo”.
La dottrina teosofica può fornire una risposta ad un problema che, fin dai tempi di Giobbe, ha sempre appassionato coloro che hanno sete di giustizia e non gradiscono pensare di essere unicamente in balia dei comandamenti di un “Dio” o, in alternativa, manovrati da una ingegnosa molecola che vuole sopravvivere: di essere sempre in balia di un qualche genio, celato lassù in cielo o quaggiù nei nostri nuclei.

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