sabato 18 marzo 2017

Leaks e Spoiler sulla trama di tutti gli episodi della Settima Stagione di Game of Thrones

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EPISODIO 1

Gli estranei marciano al sud della Barriera, Bran raggiunge il Castello Nero e incontra Ed l’Addolorato, ora Lord Comandante.
Sansa e Jon discutono su cosa fare delle casate del Nord che non sono state loro fedeli combattendo insieme ai Bolton. Sansa Stark e Lyanna Mormont vogliono dare le loro terre a chi ha combattuto al loro fianco, Jon non vuole ritenere responsabili i figli degli Umber e dei Karkstar per le scelte fatte dai padri.Jon impone la propria decisione: d’ora in poi comanderà il Nord diversamente da quanto è sempre stato fatto.
Daenerys e le sue navi arrivano a Dragonstone, entra nella vecchia sala della guerra con ancora il tavolo e la mappa di Stannis, si gira verso Tyrion e dice: “Cominciamo?”

EPISODIO 2:

Jon riceve un corvo da Dany dove chiede a tutti i Lord del Nord di presenziare a Dragonstone per discutere.
Sansa resta al comando di Grande Inverno insieme a Spettro (a quanto pare il budget per i metalupi non c’è nemmeno quest’anno).
Dorne e Alto Giardino vengono saccheggiate dai Lannister, Jaime si confronta con Olenna e alla fine lei gli rivela la verità sulla morte di Joffrey: è stata lei insieme a Ditocorto ad orchestrare tutto il piano. Jaime le consente di bere del veleno e suicidarsi prima di essere catturata dall’esercito.
La flotta di Euron attacca quella di Yara e la distrugge, prendendola prigioniera. Theon riesce a scappare lanciandosi in mare, viene salvato da un altro Uomo di Ferro.
Anche Euron attacca Dorne, uccidendo due Serpi delle Sabbie e prendendo Ellaria in ostaggio.

EPISODIO 3:

Jon e Davos arrivano a Dragonstone e incontrano Tyrion sulla spiaggia e li porta al cospetto di Dany. Lei vuole che Jon si inginocchi al suo cospetto, lui si rifiuta e le racconta della minaccia dei White Walkers, alla quale Dany non crede. Davos prova a raccontare della resurrezione di Jon ma lui lo zittisce. Tyrion si schiera dalla parte di Jon, confortando Dany sul fatto che non è un pazzo. Dany rispetta Jon immediatamente, il sentimento non è ricambiato.
Jon incontra Theon e gli risparmia la vita solo per aver aiutato Sansa a fuggire.
Arya incontra Nymeria, il suo vecchio metalupo, tornando a Grande Inverno (ahhh, ecco che fine aveva fatto il budjet!).
Jorah e Sam si incontrano alla Cittadella e insieme trovano una cura per il Morbo Grigio.
Bran arriva a Grande Inverno e Meera decide di tornare a casa.

EPISODIO 4:

Arya arriva a Grande Inverno. Dany brucia qualche Lord di Westeros con i suoi draghi, compresi il padre e il fratello di Sam Tarly. Tyrion dissuade Dany dall’attaccare direttamente Approdo del Re temendo per la vita di troppi civili. L’armata Lannister si scontra contro i draghi di Dany, Jaime viene quasi ucciso ma salvato all’ultimo momento da Bronn.
Jon capisce che l’unico modo per unire tutti i lord contro i White walkers è catturarne uno vivo da mostrargli.

EPISODIO 5:

Sam lascia la cittadella con Gilly e il figlio, Jorah guarito si riunisce con Dany a Dragonstone.
Jon riceve un corvo da Grande Inverno che lo avvisa che Arya e Bran sono lì. Jaime e Bronn si incontrano segretamente con Davos e Tyrion, quest’ultimo prova a persuadere il fratello a convincere Cersei ad arrendersi prima della venuta dei draghi, ma viene ignorato.


EPISODIO 6:

Jon e gli altri uomini del Nord si uniscono alla Fratellanza senza vessilli, tra loro c’è anche il disperso Gendry, e insieme provano a catturare un Non Morto. Jon è a capo di un piccolo gruppo composto da Beric, Thoros, Tormund, Jorah e Gendry, ma vengono attaccati dall’esercito del Re della Notte, Thoros muore ucciso da un orso polare zombie (ma siamo su Lost o The Walking Dead? fatemi capire).
Vengono circondati intorno ad un lago ghiacciato, ma Dany li salva all’ultimo momento. Purtroppo il Re della Notte uccide Viserion, facendolo resuscitare come un drago di ghiaccio. Jon viene quasi ucciso nello scontro ma suo zio Benjen lo salva all’ultimo momento, sacrificandosi per lui.
Jon promette di rinunciare al suo titolo di Re del Nord se Dany lo aiuta a sconfiggere i White walkers.

EPISODIO 7:

Sansa decide che Ditocorto dovrà morire, Arya lo uccide. In precedenza lui aveva perfino tentato di metterle l’una contro l’altra usando una vecchia lettera scritta da Sansa mentre veniva costretta dai Lannister. Bran aiuta Sansa a vedere il piano di Ditocorto.
Cersei si risveglia in un letto pieno di sangue, probabilmente ha avuto un aborto di un altro bambino di Jaime.
Sam e Bran capisc ono chi sono i veri genitori di Jon, il suo vero nome è Aegon (i lettori inziano a piangere e ridere convulsamente fino allo svenimento) alla sua nascita è stato anche reso legittimo, quindi non è un bastardo.
Jon e Dany fanno sesso sulla barca che li riporta al Nord.
Alla fine dell’episodio la Barriera cade definitivamente, il Re della Notte la distrugge grazie a Viserion versione zombie.

Viene anche riportata una scena che non si sa ancora in che episodio collocare:

Jon mostra lo zombie a Dany e Cersei, la regina Lannister prova a farlo uccidere dalla Montagna, ma Jon spiega che è tutto inutile, l’unica arma che si possa usare è il Vetro di Drago. Cersei dice che manderà sicuramente delle truppe al Nord, ma poi confida a Jaime che non è vero: è più facile lasciare uccidere i suoi nemici dagli zombie anziché aiutarli. Jaime è disgustato e decide di andarsene al Nord.

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Vite quasi parallele. Capitolo 47. La Bancaccia

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L'Istituto di Credito di fiducia del Clan Orsini era soprannominato "la Bancaccia", per alcune sue abitudini non proprio consone ai criteri dell'efficienza amministrativa, tra cui l'assunzione di soli raccomandati, il prestito conferito a fondo perduto agli amici e ai potenti e l'abitudine di ricorrere, già a quei tempi, al salvataggio pubblico tramite provvidenziali interventi politici. Il Consiglio di Amministrazione era infatti nominato da alcune Fondazioni le quali a loro volta facevano capo ad alcuni partiti politici molto forti in Romagna.
Il direttore generale, Camillo Baccarani, era infatti un notabile democristiano, che poi divenne deputato.
Ma ancor più della politica, contavano le parentele con le famiglie di spicco.
Non a caso il Presidente del Consiglio di Amministrazione era Edoardo Leandri, il Senatore democristiano marito di Caterina Ricci, figlia di un fratello di Ettore Ricci, e dunque legata a doppio filo col clan Ricci-Orsini.
Per questa ragione il Senatore aveva garantito crediti sempre più consistenti alla Società in Accomandita Semplice "Ettore Ricci & Ercole Spreti" che gestiva il Feudo Orsini e il Latifondo Spreti,  che da soli comprendevano più della metà delle terre della Contea di Casemurate.
C'erano altri possidenti che incominciavano a farsi strada, tra cui un certo Cassio Baglioni, che era anche proprietario di un mulino, e un altro tizio che rispondeva al nome di Luciano Bastiani, proprietario di un enorme pollario. Ma all'epoca questi personaggio erano soltanto delle macchiette.
Il Senatore Leandri, sempre su richiesta dello zio Ettore Ricci, aveva fatto assumere come Capo Ufficio Legale della Bancaccia l'avvocato Goffredo Papisco, figlio maggiore del giudice Papisco e di Ginevra Orsini.
Goffredo Papisco, ormai quarantenne, era noto per le stravaganze del suo carattere.
La sua nomina, per quanto scandalosa, non aveva meravigliato nessuno.
L’Ufficio Legale, infatti, era soprannominato “Ufficio Raccomandati e figli di...”. 
In effetti, a ben vedere, tutti i componenti di tale ufficio, potevano vantare un pedegree di una certa importanza, almeno localmente.
Goffredo Papisco non era sposato: l’unico grande amore della sua vita erano i cavalli (e secondo le malelingue anche gli stallieri). Quando era morto il suo cavallo prediletto, chiamato modestamente “Carlo Magno”, lo aveva fatto imbalsamare e collocare presso una apposita dependance delle stalle di Villa Orsini.
In ufficio Goffredo Papisco si comportava in modo ambiguo: da un lato ostentava umiltà, si faceva dare del tu e chiamare per nome anche dai dipendenti, sembrava tollerante e malleabile, tanto che negli altri uffici si diceva di lui che era “un così buon uomo!”.
Dall’altro lato però il suo carattere mostrava inquietanti segni di lunaticità e nevrosi, e soprattutto repentini sbalzi d'umore.
Alcuni giorni, quando si svegliava euforico, arrivava in ufficio con ritardi imbarazzanti, leggeva tranquillamente il giornale tutta la mattina, si prendeva delle pause-caffè che duravano ore oppure rimaneva come inebetito con lo sguardo perso nel vuoto mentre nel reparto regnava la più assoluta anarchia.
Quando invece era di cattivo umore, cioè quasi sempre, diventava irascibile, dispotico, puntiglioso e provocatorio. Bastava il minimo errore o il più piccolo sgarro di un dipendente per causare drammatiche scenate, crisi isteriche, inquietanti minacce o funeste manie di perfezionismo.
Una tipica rappresaglia che in quei momenti si dilettava a esercitare sui malcapitati che quel giorno gli stavano particolarmente antipatici era quella di far riscrivere loro i documenti ufficiali più e più volte, cambiando le parole, ma non il senso del discorso.
Se per esempio uno scriveva: «Il cliente si è dimostrato inadempiente», il dott. Papisco gli faceva correggere: «Il cliente ha mostrato inadempienze», ma poteva benissimo accadere il viceversa con un altro dipendente, o magari con lo stesso una volta che avesse apportato la correzione.
I componenti dell’Ufficio Legale, però, si erano abituati a queste stravaganze e non ci facevano quasi più attenzione. Erano disposti a passar sopra a tutto, purché non li si costringesse a lavorare sul serio. Ciò sarebbe stato per loro assolutamente inaccettabile.
Per il Vicecapo Ufficio il lavoro in banca era una sorta di “sinecura”: il grosso dei suoi introiti derivava da consulenze esterne a cui dedicava tutto il tempo, comprese le ore di ufficio.
Fortunatamente c’era il giovane dottor Valentini, fanatico giurista, che si faceva carico anche del lavoro degli altri, sia per il gusto di eccellere nella sua materia, sia per una spontanea e talvolta perniciosa energia organizzativa.
Le due raccomandate di ferro erano le signore “Petruzzelli & Baldini”, ironicamente associate come una società commerciale non solo perché amiche e alleate di ferro, ma anche perché i rispettivi mariti, l’ingegner Petruzzelli e il commercialista Baldini, erano soci in affari.
Paola Petruzzelli e Francesca Baldini erano diplomate al liceo classico, non sapevano nulla di questioni di ufficio e tanto meno di questioni legali: a dire il vero non si sapeva neppure quali fossero i loro incarichi e le loro mansioni.
Fondamentalmente la Petruzzelli e la Baldini fungevano da Gazzetta Ufficiale del Pettegolezzo: nulla di ciò che accadeva presso l’alta società cittadina sfuggiva al capillare controllo della rete di amicizie delle due interessatissime signore.
I loro dialoghi perenni toccavano comunque anche altre “essenziali” questioni.
Paola Petruzzelli, bigotta e conservatrice, era specializzata in argomenti tradizionali come aste di beneficenza, iniziative parrocchiali, ricette di cucina, oroscopi, estrazioni del lotto, teleromanzi, parole crociate.
Francesca Baldini, più progressista, era invece l’ arbitra elegantiarum in fatto di ultime mode, acconciature, vestiario, viaggi, villeggiature.
Tra la scrivania della Petruzzelli, alla destra rispetto all’ingresso, e quello della Baldini, alla sinistra, c’era il tavolo di lavoro del ragionier Poponi, un ometto basso e grasso sulla cinquantina, trasandato, scarmigliato, distratto, volenteroso ma mediocre lavoratore. Scribacchiava continuamente scarabocchi incomprensibili su polverosi registri e fogliacci semiaccartocciati, tentava poi di ricopiare sulla macchina da scrivere i suoi appunti, sbagliando continuamente e borbottando tra sé.
Non parlava molto: di lui si sapeva che aveva una famiglia numerosa e problematica, con una moglie gelosissima, una suocera terribile, due cognate nubili a carico e cinque figlie una più brutta e antipatica dell’altra.
Altro personaggio che faceva parte per se stesso era il geometra Cipressi: uomo alto, magro, taciturno, riservatissimo, pareva sempre immerso in qualche fondamentale questione di lavoro, anche se nessuno avrebbe saputo dire esattamente quali pratiche stesse seguendo.
Neppure il Capo ufficio Goffredo Papisco riusciva a svelare il mistero che circondava il geometra Cipressi: quando gli chiedeva di cosa si stesse occupando, Cipressi era evasivo, cupo, terreo, quasi sdegnato. Se veniva messo alle strette, si chiudeva in un ostinato mutismo, interrotto solo da vaghe allusioni a un suo carissimo amico, ex attendente del generale De Toschi. Al che, ogni questione subito si stemperava in un nulla di fatto.